Dal Latino alle prime testimonianze scritte in lingua italiana – parte terza

di Michele D'Ambrosio

Dal Placito Capuano ai primi documenti sardi

La seconda parte di questo nostro viaggio alla scoperta della lingua italiana si è conclusa con l’analisi dell’atto di nascita della lingua italiana: il Placito Capuano. In questa terza parte analizzeremo nuovi documenti di carattere notarile rinvenuti in vari territori italiani, tutti collocati cronologicamente XI e XII secolo.

Uno dei primi ambiti in cui si riscontra un vero e proprio utilizzo della lingua volgare, come già abbiamo visto nel Placito Capuano, è quello notarile. Questo per praticità e facilità di comprensione in una società sempre meno avvezza all’utilizzo della lingua latina; i notai, infatti, si trovavano sempre più nella condizione di dover tradurre intere testimonianze da una lingua quotidiana ad una lingua sempre meno compresa quale come quella latina, lingua propria della legge e del diritto. Anche se già prima del Placito del 960 erano presenti dei volgarismi all’interno di testi latini, questo non fa di loro testi volgari. Affinché si possa affermare che un determinato testo sia scritto in lingua volgare, infatti, è necessario che vi sia la chiara intenzione, da parte dello scrivente, di scrivere in tale lingua. Prima del Placito Capuano, infatti, le tracce di volgare che si trovano nei testi non rappresentano altro che una sorta di volgare latinizzato per essere adattato al contesto aulico della legge, non vi era, dunque, l’intenzione di scrivere in una lingua differente dal latino, ma, al contrario, l’intenzione era quella di rendere in latino ciò che latino non era più. Nei documenti che seguono potremo notare intere parti di testo scritte intenzionalmente in volgare.

Uno dei primi documenti che andremo ad analizzare è la cosiddetta POSTILLA AMIATINA, testo aggiunto ad un rogito riguardante la donazione delle loro proprietà fatta da due coniugi (Miciarello e Guadrada) all’abbazia di San Salvatore, sul Monte Amiata (da cui prende il nome la postilla).i Questo documentoii, risalente al 1087, è scritto totalmente in latino, ma, a conclusione dell’atto, il notaio ha aggiunto il seguente testoiii:

Ista car(tula) est de caput coctu ille adiuvet de ill rebottu q(ui) mal co(n)siliu li mise in corpuiv

Non è semplice contestualizzare il significato di questa frase all’interno del contesto di donazione, ma, secondo Pier Silverio Leichtv, caput coctu sarebbe il soprannome di uno dei due coniugi (testa dura, testa calda), il quale avrebbe sperperato tutti i suoi averi a causa del cattivo consiglio (a noi ignoto) di un ribaldovi. Secondo altre interpretazioni, però, rebottu sarebbe un’allusione al Diavolo. Dando credito a questa ultima interpretazione, la traduzione della postilla sarebbe la seguente:

Questa carta è di Capocotto, Egli (Dio) lo aiuti dal Maligno che gli mise in corpo il cattivo consiglio.

Analizzando linguisticamente la postilla, possiamo notare, oltre alla totale assenza della struttura latina della frase, i finali in u delle parole coctu, rebottu, consiliu, corpu, tipici della zona del monte Amiatai e tuttora in uso.

Gli studiosi Monteverdi e Ruggeri farebbero notare l’andamento ritmico della postilla. 

Il commento di chiusura del notaio sarebbe da intendere come un riferimento a fatti precedenti, a noi ignoti, che avrebbero portato alla donazione della proprietà in oggetto. iCfr. Rohlfs [1966 – 1969: I.145]

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Postilla Amiatina

Un altro documento di notevole pregio ed interesse ai fini della nostra trattazione è la Carta osimana del 1151. In questo testo il volgare non affiora a margine, ma nell’intero testo del documento redatto in latino, questo latino snaturato e ricco di volgarismi è detto volgare lamentevolei. Questo documentoii è l’atto con cui il vescovo di Osimo (Grimaldo) dona all’abate di Chiaravalle di Fiastra (Bernardo) la chiesa di Santa Maria in Selva a Macerata. Nel rogito, scritto ad Osimo, si nota come i tratti del volgare affiorino senza una reale esigenza di comunicazioneiii, l’unica motivazione convincente che avrebbe portato lo scrivente ad utilizzare tratti volgari può essere quella di una naturalezza ormai acquisita e consolidata nell’utilizzo scritto di un linguaggio più spontaneo e familiare. Di seguito viene riportato un esempio tratto dal documento:

[…]Bernardu abbas de monasterio de beata Santa Maria de Claravalle v(e)l a meisq(ue)iv sucesorib(us) da mo (n)na(n)ti i(n) p(er)petuu(m)v[…]

Oltre alla struttura non più latina della frase, in questa breve citazione del documento non possiamo non notare il volgarismo da mo nnanti, da ora in avantivi. Dal territorio marchigiano provengono altri due importanti documenti per la genesi linguistica: la Carta fabrianesevii e la Carta picenaviii.

Il terzo documento che andremo ad analizzare riguarda la Dichiarazione di Paxiaix. Questa dichiarazione è l’unico documento pervenutoci, ad oggi, dalla zona settentrionale dell’Italia. Il documentox è stato ritrovato in Liguria ed è databile tra 1178 e 1182, esso consta di un elenco stilato da una vedova circa i beni del defunto marito e i debiti che le restano da pagare. Significativo è lo sviluppo del testo. Il testo inizia in latino per proseguire in volgare, questo “scivolare” nella lingua volgare partendo dal latino è significativo perché fa emergere la totale estraneità della lingua latina (per scrivere in latino, lo scrivente deve sforzarsi e fare molta più fatica rispetto a scrivere nella lingua che abitualmente parla).

Dopo aver esaminato, seppur in maniera non approfondita, alcune tra le più importanti testimonianze rinvenute sul territorio della Penisola, non possiamo esimerci dal trattare i documenti provenienti da un’altra zona italiana, una tra le più produttive di documenti in oggetto: la Sardegna. Tra i ritrovamenti sardi, notiamo una stupefacente abbondanza di documenti scritti in lingua volgarexi; il documento più antico pervenutoci è la carta del giudice Torchitorio, conservata nell’Archivio Arcivescovile di Cagliari, risalente al periodo tra il 1170 ed il 1180. Questo documento è un privilegio emesso, su richiesta dell’Arcivescovo di Pisaxii, dal giudice di Torres, Mariano di Laconi, a favore dei mercanti pisani. Di seguito il testo:

In Nomine D(o)m(ini) [am(en)].

Ego giudice Mariano di Lacon faço ista(m) carta ad onore de om(ne)s homines de Pisas p(ro) ssu toloneu ci mi pecterunt.xiii

A prima vista, il testo riportato, potrebbe apparire fortemente latineggiante, se non addirittura scritto in un latino con tracce di volgare. Un esempio di quanto detto potrebbe essere la presenza dell’h in homines (ma non in onore), oppure il nesso consonantico –ct- in pecterunt (il quale sarebbe un ipercorrettismo della parola petterunt, da petĕre). Incorreremmo, però, in un grave e grossolano errore se scambiassimo questi tratti, tipici del volgare logudoresexiv, per latino.

Tra le marche del logudorese possiamo notare senza grosse difficoltà:

  • la conservazione delle consonanti –s e -t in finale di parola (pecteruntomnes homines de Pisas);

  • ssu (in grafia originale xu e in grafia moderna su) che costituisce l’articolo sardo (da IPSU(M) latino)

I legami tra i volgari italiani ed il volgare sardo, come possiamo notare, sono pochi, ma il forte legame tra l’isola e la penisola è testimoniato anche dal contenuto di questo documento.  

La gran quantità di documenti sardi è stata rinvenuta sotto forma di fogli sciolti e di kontakionxv

i Definizione di Castellani [1976: 149]

ii Conservato nell’Archivio di Stato di Roma.

iii Trattandosi di una donazione tra religiosi, non sarebbe stato necessario scrivere in volgare. I religiosi conoscevano alla perfezione il latino.

iv Gli editori moderni sono più propensi a leggere suisque (la cattiva conservazione di questi documenti a causa del tempo, non permette sempre una lettura ottimale).

v (a te) Bernardo abate del monastero della beata Santa Maria di Chiaravalle od ai miei (ed ai suoi, secondo la nota 11) successori d’ora in poi in perpetuo.

vi Il nesso mo’ è ancora predominante nelle zone meridionali della Penisola in luogo del toscano ora e del settentrionale adesso [cfr. Castellani 1976: 189].

vii Risalente al 1186, è una pergamena ,oggi conservata nell’archivio comunale di Fabriano, in cui viene riportato l’accordo tra un nobile ed il monastero di San Vittore delle Chiuse circa la ripartizione del raccolto di una proprietà in comune. I confini geografici della vicenda ci sono suggeriti da Castellani [1976: 189] il quale ha localizzato con sicurezza Colcinlu, attuale Colcello, a 17 km da Fabriano.

viii Risalente al 1193, riporta il rogito riguardante la vendita di alcune terre, in volgare viene specificato che quelle terre costituivano un vero e proprio pegno, a garanzia di un prestito precedente.

ix Il grafema “x” è da intendersi con valore di fricativa palatale sonora, simile alla “j” del francese in journal o alla “g” nella pronuncia toscana di giornale.

x Conservato nell’Archivio di Stato di Savona.

xi Secondo Tagliavini [1972: 4 – 5] questa abbondanza è dovuta alla <<cultura arretrata dell’isola>> a causa della quale, il latino non era conosciuto, e di conseguenza usato, come sul continente. La scarsa conoscenza del latino avrebbe indotto inevitabilmente, sempre secondo Tagliavini, il popolo sardo a redigere i documenti in lingua volgare.

xii Alla sede vescovile di Pisa ne venne trasmessa una copia tarda non originale e risalente al XV secolo. La copia pisana è conservata nell’Archivio di Stato di Pisa.

xiii In Nome di Dio ameno. Io giudice Mariano di Laconi faccio questa carta in onore di tutti i cittadini di Pisa per il dazio [l’esenzione dal dazio] che mi chiesero.

xiv Roncaglia [1965: 207] xv Questo il termine utilizzato per indicare il bastone su cui venivano avvolte le pergamene. Inizialmente i condaghi erano atti di donazione a favore di chiese e monasteri, successivamente si è arrivati a dare questo nome al registro in cui questi atti venivano trascritti.
i Il fatto di inserire testi estranei alla materia del testo vero e proprio con una certa libertà era una vera e propria consuetudine all’epoca; questa consuetudine si era affermata per ovviare agli spazi bianchi presenti sui fogli e sui registri notarili.

ii Pubblicato per la prima volta nel 1909 da Pier Silverio Leicht e conservato oggi nell’Archivio di Stato di Siena.

iii Castellani [1976 : 103].

iv Questa carta è di Capocotto lo aiuti da quel ribaldo che gli mise in corpo il cattivo consiglio.

v Su suggerimento del filologo Ernesto Monaci.

vi Dal provenz. e fr. ant. ribaud. Soldati medievali di umile condizione a cui spettava il compito di saccheggiare i territori conquistati a battaglia finita.

Bibliografia

  • Marazzini Claudio, La lingua italiana – profilo storico, Bologna, Il Mulino, 2002