DALLA STAMPA LIBERALE ALLA STAMPA DI REGIME (Conclusioni)

di Michele D'Ambrosio

2.2 CONCLUSIONI

In base a quanto esaminato in questo elaborato si può notare come la stampa di regime si sia materializzata per gradi ed in maniera irreversibile. Dalle colonne giornalistiche del 1924 in cui si metteva in evidenza una certa disponibilità al dialogo con le opposizioni e ad una ricerca del colpevole, anche all’interno dello stesso regime, alle colonne del 1926 in cui l’unica preoccupazione editoriale era quella di edificare la persona del Duce e del suo operato. La strategia mussoliniana, però, non fu quella di chiudere tutti i giornali di opposizione, bensì quella di servirsene per aumentare la sua fama e quella del regime, la sua astuzia lo portò a tenere in vita le testate applicando un severo controllo sulle pubblicazioni e sulla direzione editoriale[1]; se Mussolini avesse chiuso le più grandi testate giornalistiche di opposizione (o non totalmente allineate all’ideologia fascista), non avrebbe riscosso il favore della gran parte delle masse che avrebbero visto la decisione come estrema. Seppur solo figurativamente, quindi, lo stato mussoliniano conservò una pluralità di testate di diversa origine ideologica, ma impose una censura talmente stretta che, oltre al nome della testata, non lasciava alcun margine di libertà di pensiero e pubblicazione.

In un celebre discorso ai giornalisti tenuto da Mussolini, lo stesso arriva ad affermare che:

La stampa più libera del mondo intero é la stampa italiana. Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; é libero perché, nell'ambito delle leggi del Regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione.[2] 

Stando a queste parole, si riesce ad estrapolare il concetto di libertà nel pensiero di Benito Mussolini, una libertà coincidente con le volontà del fascismo. 


[1] Sostituendo, ad esempio, i direttori di testata.

[2] Discorso ai giornalisti a Palazzo Chigi di Benito Mussolini il 10 ottobre 1928.