DALLA STAMPA LIBERALE ALLA STAMPA DI REGIME (parte prima) Comparazione della stampa durante il Governo fascista in concomitanza dell’omicidio Matteotti (1925) e dell’attentato ai danni di Mussolini ad opera di Arnaldo Zamboni (1926).

di Michele D’Ambrosio

    1. INTRODUZIONE

Per meglio comprendere i fatti che portarono al potere il Fascismo in Italia risulta d’uopo una contestualizzazione politico-istituzionale di quel che era, a quell’altezza cronologica, l’assetto istituzionale italiano. L’Italia di inizio Novecento era retta da una Monarchia rappresentativa1 di tipo parlamentare con a capo Vittorio Emanuele III di Savoia (Sovrano regnante).

Vittorio Emanuele III di Savoia salì al Trono in seguito all’assassinio di Umberto I, il padre, avvenuto il 29 luglio 1900 presso Monza. Vittorio Emanuele da subito si distinse per una rigida osservanza dello Statuto; il Sovrano era convinto, infatti, del fatto che si dovesse regnare solo costituzionalmente; questo concetto venne espresso dal Sovrano in più occasioni, celebre è la sua frase “Io sono sordo. I miei occhi e le mie orecchie sono la Camera e il Senato”2

L’ossessiva osservanza dello Statuto caratterizzerà profondamente tutto l’operato di Vittorio Emanuele III, anche nelle ore più buie del suo Regno3. Sin dai primi giorni, il nuovo Sovrano diede disposizione che ogni legge, prima della firma, venisse sottoposta alla sua lettura, a differenza di quanto accadeva col padre Umberto. Per Vittorio Emanuele era importante leggere le leggi che avrebbe dovuto firmare perché solo in tal modo poteva accertarsi della loro costituzionalità assoluta. 

Molte furono le vicende che il Sovrano dovette affrontare nei suoi quarantasei anni di Regno, vicende che videro la sua popolarità crescere e scadere in base agli avvenimenti. Uno dei momenti più alti della sua popolarità fu senza dubbio quello che lo vide prendere parte, sulle linee del fronte, al Primo conflitto mondiale, visto dalla Dinastia e da buona parte della Nazione come Quarta Guerra di Indipendenza risorgimentale; questo dato trapela anche dal proclama che il Re rivolse agli italiani al momento dell’entrata in guerra4

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Re Vittorio Emanuele III

La partecipazione dell’Italia al conflitto, il ruolo in esso ricoperto dal Sovrano e la conseguente vittoria del 4 novembre 1918 consacrarono Vittorio Emanuele III come Re soldato e Re Vittorioso. Dopo il conflitto, però, per Vittorio Emanuele III iniziarono gli anni più complessi del suo Regno, l’Italia e l’Europa uscite da quella guerra erano diverse, geograficamente e politicamente, da quelle del 1914; la Rivoluzione Russa minacciava di impadronirsi dell’Europa, la crisi economica imperversava nelle Nazioni, in Italia il malcontento e la diatriba politica erano accese come non mai, basti pensare che la maggioranza parlamentare era ancora quella del 1913, divisa tra interventisti e neutralisti divenuti a fine guerra guerrafondai e disfattisti5

In questa delicata situazione, il Re, sempre fervente costituzionalista, non volle intromettersi nelle questioni parlamentari, ma si limitò a spronare il Parlamento nel trovare delle soluzioni valide ed efficaci per risolvere la critica situazione6. Gli anni tra la fine della guerra e l’avvento del Fascismo furono anni caratterizzati da forti tensioni sociali come il Biennio Rosso che vide gli anni 1919 e 1920 protagonisti di scioperi, manifestazioni, violenze e disordini sociali senza precedenti. 

Altro dato di estremo interesse per capire il Ventennio successivo è caratterizzato dalla forte instabilità politica e parlamentare di quegli anni che videro succedersi governi e maggioranze parlamentari come non era mai accaduto prima nella storia italiana: dal 1919 al 1922 si succedettero sette governi tutti caratterizzati da una forte instabilità7

E’ questo un periodo in cui tutto l’assetto dello Stato rischia di essere messo in discussione, a partire dalla stessa Monarchia; da diverse frange politiche si invoca una costituente repubblicana come coronamento di quella rivoluzione nazionale cominciata col Risorgimento8. Fu proprio Benito Mussolini che nel marzo del 1919 tuonò dalle colonne de Il Popolo d’Italia invocando la “costituente della IV Italia” asserendo che i deputati eletti nelle future elezioni “costituiranno l’Assemblea nazionale chiamata a decidere sulla forma di governo dello Stato”9

Le porte al regime fascista, però, si aprirono ufficialmente nel 1922 quando, in seguito all’ennesima crisi di Governo, il Sovrano conferì l’incarico per la formazione di un nuovo governo a Benito Mussolini il quale ottenne la fiducia della Camera il 17 novembre 1922 con 306 voti favorevoli, 116 contrari e 7 astenuti10 e del Senato del Regno il 29 novembre 1922. Il Senato approvò la fiducia all’unanimità11. E’ quindi un errore storico sostenere che il Sovrano consegnò l’Italia al Fascismo, in quella circostanza fu l’intero Parlamento a sostenere, con largo voto di fiducia, il governo proposto da Benito Mussolini composto da liberali, popolari, democratici, nazionalisti e fascisti12

Da quel voto di fiducia al 25 luglio 1943 Benito Mussolini riuscì ad imporre la sua politica mettendo fine, tramite una serie di leggi approvate e condivise dagli organi parlamentari dell’epoca, al regime liberal-democratico in favore di un autoritarismo liberticida che caratterizzerà il Ventennio fascista sino al suo tramonto.

1 Articolo 1 Statuto Albertino.

2 L. Valiani, L’altra Europa. 1922 – 1945, Giappichelli, Torino, 1967, p. 6.

3 Anche durante il governo Mussolini, pur mal sopportandolo e spesso non condividendone il testo delle leggi, non poté esimersi dalla firma delle stesse emanate dagli organi competenti in quanto, i vari organi, facevano parte a pieno titolo dell’assetto statale, erano nati secondo iter costituzionale e per volere del Parlamento e del Gran Consiglio del Fascismo.

4 “A voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.”, (proclama alla nazione del 24 maggio 1915 pronunciato dal Sovrano).

5 Lucio Lami, Il Re di Maggio. Umberto II: dai fasti del “principe bello” ai tormentati anni dell’esilio, Edizioni Ares, Milano, 2002, p.41.

6 Lucio Lami, op. cit., p.42.

7 Tito Lucrezio Rizzo, Dall’Italia liberale all’Italia liberticida, in Il Regno di Vittorio Emanuele III (1900-1946). I - Dall’età giolittiana al consenso per il regime (1900-1937), Aldo Alessandro Mola (a cura di), BastogiLibri, Noventa Padovana, 2020, p. 333.

8 Angelo Tasca, Nascita e avvento del Fascismo, La Nuova Italia, Firenze, 1950, p. 19.

9 Ivi, p. 20.

10 Atti parlamentari Camera dei Deputati, Tornata di venerdì 17 novembre 1922.

11 Lucio Lami, op. cit., p. 53.

12 Emilio Gentile, Il Fascismo in tre capitoli, Editori Laterza, Bari, 2004, p. 29.