DALLA STAMPA LIBERALE ALLA STAMPA DI REGIME (parte seconda c)

di Michele D'Ambrosio 

  2.1 LA STAMPA

Se sino ad ora si è trattata la parte più storico–istituzionale, ora l’accento verrà posto prevalentemente su come il Governo Mussolini prima (1924–1925) ed il regime mussoliniano dopo (1926)[1] tratterà, dalle colonne de Il Popolo d’Italia, le due notizie di cui parleremo.

Durante i mesi che intercorreranno tra il 10 giugno 1924 ed il gennaio 1925, le notizie inerenti al delitto Matteotti saranno presenti sulla testata sette volte, cinque nel primo mese e due soltanto tra l’agosto ed il gennaio successivo. 

Sorprende vedere come tra il 10 ed il 14 giugno la Testata non si cura di dare alcuna informazione su quanto accaduto. Solo il giorno 14 giugno, la prima pagina viene dedicata completamente al misfatto, ma l’attenzione maggiore viene comunque dedicata alle questioni puramente diplomatiche riguardanti la Camera e, solo in parte minore, alle indagini circa la ricerca del politico socialista[2]; il titolo, a centro pagina, è infatti il seguente: “Dopo la scomparsa dell’On. Matteotti. La nobile e commossa dimostrazione della Maggioranza e del Governo alla Camera[3]

Solo nell’edizione del giorno successivo si comincia a parlare di “Vile delitto” e di come siano in corso arresti ed indagini approfondite a riguardo, sottolineando lo sdegno del Presidente del Consiglio Benito Mussolini[4]. Lo stesso giorno si rendono note le dimissioni di due rappresentanti del Governo: Aldo Finzi, Sottosegretario al Ministero dell’Interno e Vicecommissario all’Aeronautica[5], e Cesare Rossi, fidato collaboratore di Mussolini e Capo dell’ufficio Stampa della Presidenza del Consiglio. Seppur le sopracitate dimissioni possono apparire strategiche, dalle lettere pubblicate su Il Popolo d’Italia in data 15 giugno 1924 si legge, tra le motivazioni ufficiali avanzate dai due esponenti fascisti, della possibilità di difendersi dalle accuse dell’opposizione a titolo personale e senza l’imparzialità e ufficialità che le cariche ricoperte avrebbero richiesto[6].

I toni subiscono una escalation solo dal giorno 17 giugno, ad una settimana dal delitto, quando Mussolini pubblica sulla prima pagina del giornale, sotto al titolo principale “I fascisti invocano anch’essi giustizia ma non ammetteranno speculazioni” un appello ai fascisti e agli avversari politici dall’incipitAlto là, signori!”. I toni sono intimidatori e risuonano come una “chiamata alle armi” per fascisti, così riassunta al termine dell’articolo: “Fascisti di tutta Italia! […] Attendete gli ordini che verranno a seconda degli avvenimenti e preparatevi ad eseguirli come ai tempi delle grandi battaglie!”[7]. Lo stesso giorno viene resa pubblica la notizia dell’arresto del Gerarca Albino Volpi e del Segretario di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce, Filippo Filippelli, entrambi ritenuti responsabili dell’omicidio[8].

Il 24 giugno 1924, a due settimane dal delitto, le notizie relative a quanto avvenuto vengono relegate solo alla sesta pagina dove, tra le altre notizie, si comunica la consegna volontaria al carcere Regina Coeli di Roma del dimissionario Cesare Rossi[9].

I toni si alzano ulteriormente sulla prima pagina de Il Popolo d’Italia del giorno 6 luglio 1924 dove un comunicato del Duce ribadisce la totale mal sopportazione e condanna per le diffamazioni provenienti dalle opposizioni inveendo anche contro “il volgare trucco patriottardo dei socialisti unitari[10]. In questo numero è pubblicata anche una vignetta che ritrae le opposizioni intente a raggiungere il Governo della Nazione facendo leva sulla bara funebre di Matteotti. Contro le opposizioni il Governo si scaglia nuovamente, con toni molto simili, nella prima pagina del 22 agosto successivo[11]. Il continuo attacco alle opposizioni è sintomo di una chiara volontà denigratoria che nel 1925 culminerà con l’inizio del regime: andava creato un primo nemico comune per giustificare le mosse successive agli occhi dei cittadini.

Il 3 gennaio 1925, con un discorso alla Camera dei Deputati, il Presidente del Consiglio Benito Mussolini pone fine al caso sull’omicidio Matteotti avocando a sé stesso ogni responsabilità civile, morale e storica di quanto accaduto il 10 giugno precedente e di quanto accaduto dall’inizio del suo Governo. In questo discorso il Duce si scaglia duramente anche contro gli oppositori ritiratisi sull’Aventino per protesta e promette una chiarificazione totale su tutto, nel giro di massimo 48 ore; la prima pagina del giornale è quasi totalmente dedicata al tema[12].

Con questo discorso il tramonto dello Stato liberale è pressoché divenuto una realtà e vedrà la sua concretizzazione con l’emanazione, tra il 1925 ed il 1926, di una serie di leggi che garantiranno la totale trasformazione dell’ordinamento italiano in chiave autoritaria. Queste leggi verranno ricordate con l’epiteto di Leggi Fascistissime.

Il caso Matteotti fu una delle ultime vicende italiane narrate da una stampa non ancora di regime; dal 1925, però, anche la stampa venne relegata alle volontà del regime con pubblicazioni spesso faziose ed epurate da qualsiasi notizia scomoda o dannosa per il governo. Di questo fenomeno se ne vedono i risvolti già nel 1926 in seguito ad un attentato alla persona del Capo del Governo non andato a buon fine.

Il 31 ottobre 1926, in occasione di una visita di Mussolini a Bologna per il quarto anniversario dalla Marcia su Roma, un ragazzo di quindici anni, Anteo Zamboni, attentò alla vita di Mussolini con dei colpi di arma da fuoco, l’attentatore venne subito fermato e ridotto in fin di vita mediante linciaggio. Tra i primi ad identificare il ragazzo vi fu Carlo Alberto Pasolini, padre dello scrittore e regista Pier Paolo. L’indegno spettacolo del linciaggio venne formalmente condannato anche dallo stesso Mussolini che così commentò: “Degli attentati da me subiti, quello di Bologna non fu mai completamente chiarito. Certo che me la cavai per miracolo. L'esecutore, o presunto tale, fu invece linciato dalla folla. Con questo atto barbarico, che deprecai, l'Italia non dette certo prova di civiltà[13].

Contrariamente a quanto avvenuto nel 1924, in questa occasione i giornali risultarono estremamente più decisi ed intransigenti nel trattare l’argomento. Il 2 novembre 1926, infatti il titolo della prima pagina sottolineò “l’incondizionata approvazione della giustizia sommaria [da parte del popolo]” e la dichiarazione di Mussolini “Niente può accadermi […] prima che il mio compito sia finito[14]. Nelle pagine successive vennero riportati i testi di tutti i telegrammi di felicitazione provenienti dalle varie cancellerie estere[15]. Lo stesso 2 novembre, prima dei testi dei telegrammi, viene data notizia dell’arresto del fratello dell’attentatore, dal testo dell’articolo, però, non emerge alcuna colpa evidente[16].

Anche il giorno 3 novembre la prima pagina è interamente dedicata al misfatto con un articolo dal titolo “L’opinione pubblica reclama provvedimenti energici ed immediati[17] che emerge su tutti come a voler trovare una prima giustificazione alle future decisioni che il Governo sta per prendere. Sempre il 3 novembre, in prima pagina viene riportato, con tono estremamente retorico, il significato che la persona di Mussolini avrebbe nello scenario italiano. Nella seconda pagina del 3 novembre, oltre agli innumerevoli telegrammi, spicca il messaggio del Cardinale di Napoli Ascalesi dal titolo “Ringraziamo Dio che ha salvato ancora una volta l’Italia”; lo stesso Cardinale disporrà un Te Deum di ringraziamento per lo scampato attentato[18]

Vengono riportate, nella stessa pagina, tutte le manifestazioni di affetto che si sono svolte in Italia, raccontate città per città ed un articolo dal titolo “Intransigenza applicata. Pulizia nelle università” nel quale si mette al corrente delle nuove restrizioni alla libertà anche in ambito accademico, ambito ritenuto pericoloso per le idee avverse al regime. Già dopo il 3 novembre inizia a prendere vita l’idea di un complotto organizzato da italiani residenti in Francia[19]. Nella sesta pagina persistono le argomentazioni sulle indagini in merito all’attentato.

Il 4 novembre, in occasione dell’VIII anniversario della Vittoria, viene raccontata in prima pagina la calorosa accoglienza riservata al Duce per il suo arrivo nella Capitale (vengono riportate anche le manifestazioni d’affetto in occasione della partenza dalla città di Forlì)[20]. Nelle pagine successive si dà notizia del “Te Deum per il Duce” che sarà celebrato il giorno stesso a Milano[21]; alle pagine 5 e 6 proseguono gli aggiornamenti sulle indagini.

I giorno 6 novembre, in prima pagina vengono pubblicate le leggi a difesa dello Stato che, tra le altre cose, annullano tutti i passaporti ad eccezione di quelli appartenenti a persone fuori dal territorio nazionale (per consentirne una totale revisione), scioglimento di tutti i partiti politici contrari al regime, cessazione di tute le pubblicazioni ostili, istituzione della pena di morte a chiunque attenti alla vita, alla libertà o all’incolumità fisica del Re, della Regina, del Principe Ereditario e del Capo del Governo[22].



[1] I riferimenti cronologici sono relativi al delitto Matteotti ed all’attentato ad opera di Anteo Zamboni ai danni di Mussolini.

[2] Inizialmente si era al corrente del solo rapimento, non dell’omicidio.

[3] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 14 giugno 1924.

[4] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 15 giugno 1924.

[5] Tale carica verrà tramutata, dal 1925, in Sottosegretariato di Stato all’Aeronautica, anche se non più affidata al Finzi.

[6] Tra i motivi reali delle dimissioni, in realtà, è molto probabile che siano state imposte dallo stesso Mussolini già al corrente delle responsabilità del Partito e nel tentativo di salvarne l’onorabilità.

[7] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 17 giugno 1924.

[8] Ibidem.

[9] Il Popolo d’Italia, p. 6, 24 giugno 1924.

[10] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 6 luglio 1924.

[11] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 22 agosto 1924.

[12] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 4 gennaio 1925.

[13] Arrigo Petacco, L’uomo della provvidenza, Mondadori, Milano, 2004.

[14] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 2 novembre 1926.

[15] Ivi, p. 6.

[16] Ivi, p. 5.

[17] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 3 novembre 1926.

[18] Ivi, p. 2.

[19] Il Popolo d’Italia, p. 3, 3 novembre 1926.

[20] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 4 novembre 1926.

[21] Ivi, p. 4.

[22] Il Popolo d’Italia, prima pagina, 6 novembre 1926.