Il corvo

di Nicola Bosco e Simone di Pinto

Da secoli abbiamo una visione molto distorta del corvo: un’ombra che volteggia in aria in attesa che la natura faccia il suo corso e che un predatore lasci gli avanzi di una preda; un animale associato all’occulto, fedele compagno delle streghe e del Diavolo: quindi un volatile diabolico che si ciba dei cadaveri. Ma sappiate che questa è una versione prettamente cristiano-medievale e che non sempre questo cupo volatile è stato rappresentato come ora lo conosciamo. Presso svariate culture, infatti, ha un significato del tutto diverso e distante da quello attuale. Era, la maggior parte delle volte, un simbolo di presagio, non obbligatoriamente legato alla morte: sono infatti dei corvi a guidare Alessandro Magno al tempio di Zeus per chiedere se egli stesso fosse figlio del padre di tutti gli dei. Nella cultura giapponese è il simbolo della classe guerriera. Alcuni tengu, ovvero delle creature mitologiche esperte di arti marziali, chiamati karasi tengu, vengono raffigurati come dei corvi con delle sembianze umane. Lo Yatagarasu è il corvo sacro che aiutò l’Imperatore Jinmu, figura alquanto mitizzata molto popolare in Giappone.

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Come si arriva, allora, ad una visione così macabra di questo volatile? Il motivo principale è un tentativo della chiesa di screditare i coloni nordici durante le invasioni norrene. Per i Vichinghi, infatti, quella del corvo è una figura molto importante, poiché era strettamente legato alla figura di Odino: il Padre di Tutto aveva infatti due fedeli esemplari di questa specie, Huginn e Muninn (rispettivamente “Pensiero” e “Memoria”), che viaggiavano per il mondo e, una volta tornati dal loro padrone, riferivano ciò che era accaduto ed accadeva nei nove regni; ancora, i corvi indicavano alle valchirie i cadaveri dei caduti valorosamente in battaglia, permettendo loro l’accesso nel Valhalla. I cristiani sassoni cercarono dunque di screditare le tradizioni dei loro invasori, facendoli apparire come degli idolatri di creature demoniache oltre che pagani senza Dio. Da allora e per tutto il Medioevo, il corvo è un simbolo oscuro, presagio di morte, legato al sacrilego. Nel periodo alchemico, però, riprenderà quello che era il suo simbolismo originario: il passaggio dalla vita alla morte, dallo stato solido allo stato liquido o da un colore ad un altro in una pietra. Questo movimento legato all’alchimia veniva indicato con un simbolo detto “sigillum corvinum” ossia “simbolo del corvo”. Il lato oscuro di questo animale, viene poi usato come espediente letterario nella letteratura del terrore del XVIII-XIX secolo, specie da Edgar Allan Poe, autore, appunto della poesia “Il Corvo”, nella quale l’animale viene descritto come cupo e spaventoso, nobile e fiero, erede d’un simbolismo antico, araldo ante litteram di ciò che avviene nel mondo, un silenzioso osservatore, dunque, che vede e tiene per sé peccati e buone azioni di ogni uomo, in attesa che la natura faccia il suo corso e che il tempo lasci lui un’altra vita da trasportare.

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Una piccola curiosità su questo animale: sa riconoscere perfettamente i sentimenti umani. Proprio questa capacità li ha portati a capire che, seguendo gli eserciti mossi dall’odio in battaglia, si sarebbero potuti cibare dei cadaveri lasciati sul campo.