La Delizia Estense di Belriguardo, “la reggia dimenticata”.

di Carlo Giovanni Sangiorgi

Meraviglia, maestosità, sfarzosità, bellezza sono solo alcune delle emozioni provate dagli illustri personaggi storici che ebbero il privilegio di soggiornare in quelle ampie sale finemente affrescate, passeggiare nei vasti, ordinati ed ombrosi giardini, ingannando il tempo godendo dei piaceri della vita. Probabilmente molto altro suscitava l’antica Delizia di Belriguardo, la reggia estiva eretta dalla casata nobiliare degli Este, governatori di Ferrara, Modena e Reggio a partire dal XIII°secolo.

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ingresso monumentale della Delizia (foto Ferraradeltapo)

Al giorno d’oggi, se ne conserva solo una parte di quelle antiche vestigia, distrutte dal tempo, dai crolli, dall’incuria e dalla conversione dei locali, spesso, in stalle ed abitazioni (tutt’oggi abitate da privati). In alcuni dei saloni superstiti è ospitato il Museo Civico di Voghiera, ove sono conservati reperti provenienti dai vicini scavi romani di Fondo Tesoro e della necropoli di Voghenza, nonché testimonianze materiali della frequentazione rinascimentale della Delizia. Un’esposizione essenziale che dona uno sguardo d’insieme circa la storia del territorio e dei personaggi che lo plasmarono.

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veduta aerea del complesso monumentale (foto Ferraradeltapo)

La Delizia o “reggia” di Belriguardo, situata a Voghiera, a pochi chilometri da Ferrara, fu un complesso architettonico di grandi dimensioni voluto dal marchese Niccolò III d’Este nel 1435, su probabile consiglio dell’architetto e scultore Filippo Brunelleschi. Fu la prima reggia estiva costruita da una Signoria europea, di fatto la più antica testimonianza d’Europa. L’intera corte estense vi si trasferiva per circa 6 mesi all’anno, nel periodo estivo, dalla quale esercitava funzioni di governo e di controllo territoriale. Le maestranze al seguito per alimentare la macchina di questo immenso spazio dovevano raggiungere numeri ragguardevoli. Il palazzo venne concepito non solo per ospitare e dare piacere alla corte ed ai graditi ospiti, ma per impressionare e lasciare realmente ammaliati i visitatori che vi si recavano. La struttura si sviluppava intorno a due corti a pianta quadrata, porticate sui quattro lati, ispirata ai canoni vitruviani della casa ideale del periodo greco classico. L’ingresso era costituito da una poderosa torre, sulla cui facciata erano presenti i vessilli in rilievo della casata. Una volta superato il primo grande cortile, si poteva raggiungere la cosiddetta “alta corte”, residenza della famiglia nobiliare che si ergeva su due piani con ampie finestre decorate in stile gotico (di cui oggi si conserva solo il pian terreno, le immense travi leonardiane ed i finestroni). Intorno al complesso principale si sviluppavano logge, porticati e diversi edifici, le cui pareti erano intonacate e finemente decorate. Sul retro della struttura si estendevano vasti ed eleganti giardini dai regolari motivi geometrici, con corsi d’acqua, fontane, labirinti di siepi, ponticelli, alberi e piante ornamentali esotiche per un complessivo di circa 30 ettari. Esso fu uno dei primi esempi del cosiddetto “Giardino all’italiana”. Dalle fonti si evince che la reggia fosse in grado di ospitare tre corti al completo, attrezzata di scuderie che potevano foraggiare fino a 800 cavalli e, sono altresì documentati, grandi saloni affrescati e addirittura ben oltre 200 stanze da letto. Gli ambienti suscitavano tale meraviglia che, nel 1493, il futuro Duca di Milano Ludovico Sforza detto “il Moro” scrisse alla moglie Beatrice d’Este, che in quel momento si trovava a Venezia, affinché lo raggiungesse al più presto per godere della piacevolezza di Belriguardo. Così scriveva:

<< Non voria per cosa del mondo esser manchato de venire perché ho veduto tanto grande casa, tanto bella et bene intesa et cussì ornata de picture excellentissime, che non credo ch’el mondo abia una simile. >>[1]

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Finestra quattrocentesca dell’”Alta corte”. (foto Alice Soncin)

Anche il Principe Vincenzo Gonzaga si recò presso il grande palazzo, fremente di poter nuotare nella peschiera ricavata di fronte al grande portale ed assistere dall’alta torre, insieme ad altri illustri ospiti e spettatori, alle battaglie navali che vi si svolgevano con reali imbarcazioni.

La corte estense ospitava anche i più importanti letterati del tempo, tra cui Ludovico Ariosto, Torquato Tasso e Sabadino Degli Arienti, che nel suo De Triumphis Religionis, dedicato al Duca Ercole I d’Este nel 1497, ha tramandato sino a noi una piacevole testimonianza di quanto si emozionò giungendo alla reggia:

<< …per maraviglia de lo illustre vedere, ali fianchi me posi le mane firmando gli occhi alquanto…>>[2]

La Delizia di Belriguardo godette di fama e splendore per secoli fino a quando, nel 1598, il Duca di Ferrara Alfonso II morì senza lasciare eredi. La famiglia ducale fu costretta a lasciare la città di Ferrara recandosi a Modena e Reggio, in quanto l’allora papa Clemente VIII reclamò la restituzione del feudo ferrarese, mentre quello delle altre due città rimase in possesso dei duchi, poiché era stato concesso dall’Imperatore. La struttura venne abbandonata e i materiali spesso riciclati per la costruzione di altri palazzi ed infine venduta dalla stessa famiglia estense, cagionando ulteriore danno a quello che fu uno dei più sontuosi palazzi dell’epoca rinascimentale. Dei meravigliosi affreschi - oggi si conserva la sola “Sala delle Vigne” - realizzati tra il 1536 e il 1537 per volontà del Duca Ercole II d’Este, principalmente da Girolamo da Carpi, Benvenuto Tisi da Garofalo ed i fratelli Dosso e Battista Dossi. In ottimo stato di conservazione, dopo un attento restauro, si possono apprezzare le singolari ed espressive cariatidi monocrome sorreggenti un pergolato che si sviluppa su tutti e quattro i lati del vasto salone. In prospettiva scene di paesaggi alpini surreali, tratti con tutta probabilità da panorami realmente vissuti dai fratelli Dossi durante la loro esperienza artistica presso il castello del Buon Consiglio di Trento. Sulla sommità sono raffigurati rami intrecciati di vigna, con grappoli e foglie dai colori vividi.

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Ricostruzione della reggia di Belriguardo nel culmine del suo splendore del XVI° secolo. (foto Alice Soncin)

La sontuosità del grande palazzo venne tramandata per molti secoli, tanto che gli venne attribuito il nome di “piccola Versailles”, in riferimento alla famosa reggia dei Reali di Francia realizzata due secoli più tardi.

Essa colpì anche Johann Wolfgang von Goethe, che tra il 1786 e il 1790 volle ambientare la sua opera teatrale, chiamata appunto “Torquato Tasso”, nella residenza estiva della corte estense che lo aveva ospitato.

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Belriguardo lascia, nel fascino dei suoi antichi fasti, una importante testimonianza architettonica ed artistica del periodo rinascimentale ferrarese, i cui ideatori, la casata degli Este, è ancora ben presente nell’immaginario collettivo locale, a cui viene unanimamente attribuito il massimo dello splendore e sviluppo della città di Ferrara. Il territorio mostra ancora i segni di quello che fu un periodo di trionfo delle arti, del genio e di quel vento di modernità e cambiamento che il Rinascimento italiano seppe imprimere nella società. È essenziale promuovere piani di manutenzione e valorizzazione di questi siti, compresa la Delizia di Belriguardo, peculiare testimonianza di una reggia antichissima, per certi versi dimenticata.



1.  http://www.ferraradeltapo-unesco.it/delizie/belriguardo/

2. Il Museo Civico di Voghiera, 2015, Arstudio, Portomaggiore (Ferrara), pag.7-8