LA FAMIGLIA REALE DI SAVOIA (Vittorio Emanuele III)
di Michele D'Ambrosio
In seguito alla morte di Umberto I, salì al trono il figlio, Vittorio Emanuele III di Savoia[1]. Vittorio Emanuele da subito si distinse per una rigida osservanza dello Statuto, appena salito al Trono non esitò un solo attimo a rifiutare l’applicazione delle leggi speciali propostegli dal Parlamento in seguito all’uccisione del Padre[2]. In quella circostanza il Sovrano sentenziò che si regna costituzionalmente e che non avrebbe firmato o fatto applicare alcuna legge speciale. L’ossessiva dello Statuto caratterizzerà profondamente tutto l’operato di Vittorio Emanuele III, anche nelle ore più buie del suo Regno[3]. Sin dai primi giorni del suo Regno, il nuovo Sovrano diede disposizione che ogni legge, prima della firma, venisse sottoposta alla sua lettura, a differenza di quanto accadeva col padre Umberto. Molte furono le vicende che il nuovo Sovrano dovette affrontare nei suoi quarantasei anni di Regno, vicende che videro la sua popolarità crescere e scadere in base agli avvenimenti. Uno dei momenti più alti della sua popolarità fu senza dubbio quello che lo vide prendere parte, sulle linee del fronte, al primo conflitto mondiale, visto dalla dinastia e da buona parte della Nazione come Quarta Guerra di Indipendenza risorgimentale[4].
La partecipazione del Sovrano al conflitto e la conseguente vittoria del 4 novembre 1918 consacrarono Vittorio Emanuele III come Re soldato e Re Vittorioso. Dopo il conflitto e la conseguente vittoria[5], per Vittorio Emanuele III iniziarono gli anni più complessi del suo Regno: l’Italia e l’Europa uscite da quella guerra erano diverse, geograficamente e politicamente, da quelle del 1915; la Rivoluzione Russa minacciava di impadronirsi dell’Europa, la crisi economica imperversava nelle Nazioni, in Italia il malcontento e la diatriba politica erano accese come non mai, basti pensare che la maggioranza parlamentare era ancora quella del 1913, divisa tra interventisti e neutralisti divenuti a fine guerra guerrafondai e disfattisti[6]. In questa delicata situazione, il Re, sempre fervente costituzionalista, non volle intromettersi nelle questioni parlamentari, ma si limitò a spronare il Parlamento nel trovare delle soluzioni valide ed efficaci per risolvere la critica situazione[7]. Gli anni tra la fine della guerra e l’avvento del Fascismo furono anni caratterizzati da forti tensioni sociali, come il Biennio Rosso che vide gli anni 1919 e 1920 protagonisti di scioperi, manifestazioni, violenze e disordini sociali senza precedenti[8]. Altro dato di estremo interesse per capire il Ventennio successivo è caratterizzato dalla forte instabilità politica e parlamentare di quegli anni che videro succedersi governi e maggioranze parlamentari come non era mai accaduto prima nella storia italiana[9]. E’ questo un periodo in cui tutto l’assetto dello Stato rischia di essere messo in discussione, a partire dalla stessa Monarchia; da diverse frange politiche si invoca una costituente repubblicana come coronamento di quella rivoluzione nazionale cominciata col risorgimento[10]. Fu proprio Benito Mussolini che nel marzo del 1919 tuonò dalle colonne del Popolo d’Italia invocando la “costituente della IV Italia” asserendo che i deputati eletti nelle prossime elezioni “costituiranno l’Assemblea nazionale chiamata a decidere sulla forma di governo dello Stato”[11]. Le porte al Regime fascista, però, si aprirono ufficialmente nel 1922 quando, in seguito all’ennesima crisi di Governo, il Sovrano diede l’incarico per la formazione di un nuovo governo a Benito Mussolini il quale ottenne la fiducia della Camera il 17 novembre 1922 e del Senato del Regno il 29 novembre 1922[12]. E’ quindi un errore storico sostenere che il Sovrano consegnò l’Italia al Fascismo, in quella circostanza fu l’intero Parlamento a sostenere, con largo voto di fiducia, il governo proposto da Benito Mussolini [13] . Da quel voto di fiducia al 25 luglio 1943 Benito Mussolini riuscì ad imporre la sua politica mettendo fine, tramite una serie di leggi approvate e condivise dagli organi parlamentari dell’epoca, al regime liberal-democratico in favore di un autoritarismo liberticida che caratterizzerà il Ventennio fascista sino al luglio 1943. Il Sovrano, seppur detestando la persona di Mussolini[14], dovette conviverci per vent’anni senza poter intervenire sulle scelte del regime in quanto sostenute dal Parlamento prima e dal Gran Consiglio del Fascismo poi[15]. Vittorio Emanuele III, pur mal sopportando il Regime, durante il Ventennio vide espandersi in potenza e prestigio il suo Regno, sino al 9 maggio 1936 quando il Duce del Fascismo[16] decretò la nascita dell’Impero in seguito alla conquista dell’Etiopia; in tale occasione, Vittorio Emanuele III assunse il titolo di Re Imperatore[17]. La fondazione dell’Impero fu uno dei momenti di maggior popolarità del Regime all’interno della Nazione, dopo tale evento il Regime subì una forte perdita di consenso, soprattutto in seguito all’alleanza con la Germania hitleriana, avvenuta ufficialmente il 22 maggio 1939[18], ed alla conseguente guerra. L’alleanza con la Germania fu stretta solo per volere di Mussolini e del Fascismo, molte furono le perplessità del Re[19]. Durante la Seconda guerra mondiale l’Italia dimostrò tutta la sua impreparazione militare[20] e nel 1943 si profilava chiara la sconfitta dell’Asse. Fu nella notte tra il 24 ed il 25 luglio 1943 che, in seguito al disastro militare a cui stava andando incontro l’Italia, il Gran Consiglio del Fascismo mise in minoranza Benito Mussolini[21] esautorandolo da qualsiasi potere politico[22] e determinando, di fatto, la fine del Regime. Gli ultimi tre anni di Regno furono per Vittorio Emanuele altrettanto ricchi di responsabilità ed impegno: il Paese era nel pieno di una guerra ormai perduta che, dopo l’armistizio dell’8 settembre, sarebbe diventata una vera e propria guerra civile.
Vittorio Emanuele III rimase Sovrano sino al 9 maggio 1946 anche se, dal 5 giugno 1944[23], aveva nominato come Luogotenente generale del Regno il figlio Umberto. Dopo l’abdicazione, avvenuta il 9 maggio 1946, Vittorio Emanuele III vivrà in esilio, ad Alessandria d’Egitto, con il titolo di Conte di Pollenzo, ospite di Re Faruq d’Egitto. Morirà il 28 dicembre 1947, nel luogo del suo esilio, pochi giorni prima dell’entrata in vigore della Costituzione italiana, il 1 gennaio 1948. La salma del Re Soldato farà rientro in Italia solo il 17 dicembre 2017 e sarà inumata presso la Cappella di San Bernardo sita nel santuario mariano di Vicoforte, in provincia di Cuneo, insieme a quella della Regina Elena morta a Montpellier, in Francia, il 28 novembre 1952 e lì sepolta sino al 2017. Vittorio Emanuele III, il piccolo Re, sarà ricordato dagli italiani, forse anche a causa di una buona dose di superficialità, come il Sovrano che appoggiò Mussolini durante quel tragico Ventennio e che portò l’Italia in guerra, ma in pochi ricordano che fu il Re Vittorioso della Grande Guerra, il Re di Peschiera, il Re che destituì Mussolini ed il Re che garantì la continuità dello Stato dopo l’8 settembre 1943. Forse, la sua unica colpa fu quella di essere troppo ligio allo Statuto.
BIBLIOGRAFIA DEL CAPITOLO:
1) A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, 2003
2) A. Tasca, Nascita e avvento del Fascismo, 1950, La Nuova Italia
3) L. Lami, Il Re di Maggio. Umberto II: dai fasti del “principe bello” ai tormentati anni dell’esilio, 2002, Edizioni Ares.
4) Appunti personali dello scrivente
[1] Vittorio Emanuele III nacque a Napoli l’11 novembre 1869 dall’allora Principe di Piemonte Umberto di Savoia e dalla consorte Margherita di Savoia; sin dalla nascita fu insignito del titolo di Principe di Napoli dal nonno Vittorio Emanuele II. L’educazione ferrea del terzo Re di’Italia fu affidata al Colonnello di Stato Maggiore Egidio Osio, molto severo e adatto all’educazione rigida e militare riservata ai rampolli di Casa Savoia. Vittorio Emanuele, affetto da gravi complicazioni fisiche a causa della parentela dei genitori, si distinse da subito per essere un appassionato studioso delle scienze, della storia e della geografia; all’età di dieci anni si dice fosse in grado di ricordare a memoria tutta la successione dinastica da Umberto Biancamano a lui. Vittorio Emanuele frequentò la scuola militare Nunziatella di Napoli e prese in comando del 1° Reggimento Fanteria Re di stanza a Napoli, viene ricordato come un comandante estremamente rigido e pignolo. Nel 1896 venne ufficializzato il fidanzamento con la principessa Elena del Montenegro, figlia di Nicola I del Montenegro, i due si sposeranno in Roma il 24 ottobre di quello stesso anno. La scelta dei genitori di Vittorio Emanuele ricadde su Elena per evitare un nuovo matrimonio consanguineo e, per ragioni politiche, per assicurarsi influenza anche nei territori balcanici. Vittorio Emanuele e la consorte avranno cinque figli: la Principessa Iolanda nel 1901, la Principessa Mafalda nel 1902, l’erede al Trono, nonché Principe di Piemonte, Umberto nel 1904, la Principessa Giovanna nel 1907 e la Principessa Maria Francesca nel 1914.
[2] In questo potrebbe essergli stato d’aiuto il difficile rapporto col padre, Vittorio Emanuele non nutriva grandi sentimenti amorevoli per i genitori.
[3] Anche durante il governo Mussolini, pur mal sopportandolo e spesso non condividendone il testo delle leggi, non poté esimersi dalla firma delle stesse emanate dagli organi competenti in quanto, i vari organi, facevano parte a pieno titolo dell’assetto statale, erano nati secondo iter costituzionale e per volere del Parlamento e del Gran Consiglio del Fascismo.
[4] A voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri. (proclama alla nazione del 24 maggio 1915 pronunciato dal Sovrano)
[5] Da subito inizia a farsi strada il concetto di “Vittoria Mutilata”, concetto ideato da Gabriele D’Annunzio, dopo che le potenze vincitrici, durante i Trattati di Pace, disattesero buona parte delle promesse fatte all’Italia con il Trattato di Londra del 1915
[6] Lucio Lami, Op. Cit., p.41
[7] Lucio Lami, Op. Cit., p.42
[8] Tra gli obiettivi degli scioperanti, sostanzialmente di matrice socialista e comunista, vi era quello di dare vita alla Rivoluzione russa anche in Italia.
[9] Tra il 1919 ed il 1922 si succedettero sei governi, alcuni dei quali della durata di poche settimane. I governi che si succedettero furono di diversa matrice: liberale, socialista e radicale.
[10] Angelo Tasca, Op.Cit. p. 19
[11] Angelo Tasca, Op.Cit. p. 20
[12] La prima esperienza parlamentare di Mussolini godette dell’appoggio e della fiducia del Parlamento italiano: esso si insediò alla Camera con 306 voti favorevoli, 116 voti contrari e 7 astenuti; al Senato con 196 voti favorevoli e 19 contrari.
[13] Il primo Governo Mussolini fu un governo di coalizione composto da liberali, popolari, democratici e socialisti; al Partito Nazionale Fascista erano riservati solo tre ministeri.
[14] Il sentimento era reciproco in quanto Benito Mussolini non ebbe mai simpatia per la Corona. Benito Mussolini si considerava da sempre repubblicano.
[15] Il Gran Consiglio venne istituito come “organo supremo, che coordina e integra tutte le attività del regime sorto dalla rivoluzione dell'ottobre 1922” con legge n. 2639 del 9 dicembre 1928. (A. Acquarone, Op.Cit., pp. 493 – 495)
[16] Da tale data anche fondatore dell’Impero
[17]A questo titolo si aggiungerà quello di Primo Maresciallo dell’Impero il 2 aprile 1938 e di Re d’Albania in seguito alla conquista della stessa il 9 aprile 1939.
[18] L’alleanza venne ufficializzata il con il Patto d’Acciaio, ma l’avvicinamento tra le due potenze era già in atto dall’autunno 1936 con la nascita dell’Asse Roma – Berlino.
[19] Il Sovrano, di per se filo-britannico, nutriva un profondo disprezzo per Hitler, ancor più che per Mussolini. Egli considerava l’alleanza con la Germania estremamente pericolosa e compromettente. La mal sopportazione era, in compenso, del tutto ricambiata da Hitler che vedeva nella figura del Sovrano italiano un ostacolo alle politiche dell’Asse.
[20] Molte perplessità furono manifestate dal Quirinale al momento dell’entrata in guerra il 10 giugno 1940, ma la volontà di Mussolini di sedersi al tavolo dei vincitore era tale da non permettergli di rimanere fuori dal conflitto.
[21] Ordine del giorno Grandi
[22] Mussolini si recò il mattino seguente dal Sovrano per edurlo di quanto accaduto. Il Sovrano finalmente aveva un motivo costituzionale per destituire Mussolini, cosa che fece nominando Capo del Governo il Maresciallo Pietro Badoglio. Mussolini sarà arrestato e fatto prigioniero sul Gran Sasso d’Abruzzo.
[23] In seguito alla liberazione di Roma dai tedeschi