La storia risorgimentale narrata con l’arte. Verso l’Unità d’Italia

di Alice Soncin

Da sempre l’arte è stata espressione di un pensiero umano che si manifesta e si plasma attraverso molteplici forme. Pittura, scultura, architettura, moda, fotografia, artigianato, musica, teatro, cinema sono strumenti che trasmettono un significato, a volte comprensibile altre invece di difficile interpretazione, ma con lo scopo comune di coinvolgere l’osservatore, di suscitare in lui ogni genere di emozione, fino ad arrivare ad essere un documento storico che ci aiuta a comprendere le vicende, la vita, le società, la cultura di un’epoca o di un determinato popolo; ma è anche quel qualcosa di raro, prezioso e spesso particolarmente innovativo rispetto al proprio tempo.

La figura dell’artista e, di conseguenza la sua arte, non è rimasta sempre la stessa: nel tempo assunse funzioni ed identità diverse, dovendosi adeguare, soprattutto dall’Ottocento in poi, ai cambiamenti imposti dalla società, dalla politica e dall’economia. Proprio in questo secolo, gli artisti del movimento romantico di tutta Europa si impegnarono con ardore e sentimento nell’affrontare temi di importanza storica e a rappresentare personaggi sia di spicco politico sia comuni cittadini pronti a lottare per i propri ideali, divenendo così “cronisti” di eventi a loro contemporanei.

Questi fermenti si manifestarono soprattutto in difesa del principio di nazionalità e delle aspirazioni all’indipendenza dei popoli sottomessi al dominio straniero secondo le direttive del Congresso di Vienna (1815).

I moti del 1848 dilagavano in tutta Europa, investendo i territori italiani occupati dall’Impero asburgico. A Milano e Venezia scoppiarono rivolte, con l’obiettivo di liberare il Lombardo-Veneto dall’invasore straniero; nel contempo emersero però posizioni differenti sulle modalità di realizzazione del progetto: da una parte, i liberali monarchici speravano nell’intervento dello Stato dei Savoia, secondo loro l’unico in grado di condurre una guerra contro l’Austria; dall’altra i democratici, guidati da Mazzini, ritenevano che doveva essere lo stesso popolo a guidare l’insurrezione, portandola all’unità di tutto il territorio nazionale sotto la forma repubblicana. Ad avere la meglio furono i primi spingendo Carlo Alberto di Savoia a dichiarare guerra agli Asburgo.

Dopo una prima sconfitta e ai fallimenti di instaurazione repubblicana a Venezia, Firenze e Roma (1849), il processo di unificazione nazionale venne portato a termine grazie all’intervento democratico del primo ministro sabaudo Camillo Benso Conte di Cavour e all’azione militare di Giuseppe Garibaldi. Grazie all’aiuto francese e alla vittoria di Magenta (1859), venne conquistata la Lombardia. Nel 1860, Garibaldi con la sua spedizione dei Mille riuscì ad abbattere il Regno borbonico delle Due Sicilie; ma per paura dell’instaurarsi di una repubblica nel Sud, Cavour inviò l’esercito piemontese e passando per Roma, riuscì a entrare nei territori marchigiani e umbri appartenenti allo Stato pontificio conquistandone gran parte. Nel 1861 Vittorio Emanuele II raggiunse Garibaldi a Teano (fig.1), ove avvenne la consegna del Meridione e di conseguenza l’unificazione dell’Italia, anche se ancora non rientravano a far parte Mantova e il Veneto (1866), il Lazio (1870) e il Trentino e la Venezia Giulia (1918).

“Garibaldi ed il suo seguito montarono a cavallo avanzando sul fianco della strada e alla loro vista Vittorio Emanuele II si slanciò per incontrarli, quindi Garibaldi si scoprì la testa fasciata gridando:

«Saluto il primo Re d'Italia!»

La scena si svolse con i due personaggi a cavallo: il re allungò la mano e Garibaldi fece altrettanto stringendola, rimanendo con le mani unite per più di un minuto.

«Come state, caro Garibaldi?»

«Bene, Maestà, e Lei?»

«Benone.»”

(Garibaldi e la formazione dell'Italia, G.M. Trevelyan, 1913, pp. 341-342).

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Fig. 1 - Pietro Aldi, L'incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II, affresco, 1886, Sala del Palazzo Pubblico di Siena.

La maggior parte degli artisti italiani attivi durante il periodo risorgimentale, come i romantici, i macchiaioli e gli esponenti del Verismo, si identificarono nell’ideale romantico di unità nazionale.

In particolar modo si affermò un movimento trasversale che la critica odierna identifica con il termine “Pittura del Risorgimento”. Al suo interno si videro coinvolti moltissimi artisti della fila romantica, come il veneziano Francesco Hayez (1791-1882), mentre tra i macchiaioli spiccano i nomi dei toscani Giovanni Fattori (1825-1908) e Telemaco Signorini (1835-1901), i quali presero parte alla guerra del 1859 e il romagnolo Silvestro Lega (1826-95), tutti accomunati dalla volontà di celebrare un momento così straordinario della propria storia.

Molti di questi esponenti parteciparono direttamente alle battaglie, arruolandosi nei Bersaglieri o tra le file garibaldine, raccontandone poi le vicende avvenute nei loro dipinti, venendo perciò definiti “pittori-soldati”.

Elencare completamente tutti gli artisti che fecero parte di questa orgogliosa impresa diventa impossibile, ma di certo ne possiamo contare a centinaia, corsi da tutta Italia.

Per citarne alcuni: Gerolamo Induno (Milano, 1825-90) che si arruolò con il fratello Domenico prima nei Bersaglieri, poi con i garibaldini; il napoletano Michele Cammarano (1835-1920), che partecipò alla spedizione di Garibaldi nel 1860; Domenico Morelli (1826-1901) e Francesco Saverio Altamura (1826-97), anch’essi napoletani, insorti a Napoli nei moti del 1848, e al seguito di Garibaldi nel ’60; Eleuterio Pagliano (1826-1903) che partecipò alle Cinque Giornate di Milano nel 1848 (fig. 2) e poi alla difesa di Roma nel 1849; il torinese Felice Cerruti Bauduc (1818-96), ufficiale dell’esercito piemontese; il napoletano garibaldino Gioacchino Toma (1836-1891). Ricordiamo anche: Federico Faruffini (lombardo, 1831-69), i veneziani Giacomo Favretto (1849-87) e Guglielmo Ciardi (1842-1917), Tranquillo Cremona (Pavia, 1837-78), Daniele Ranzoni (Piemontese, 1843-89), Sebastiano De Albertis (Milano, 1828-97), Carlo Bossoli (Lugano, 1815-1884), Cesare Bartolena (Livorno, 1830-1903) e Filippo Palizzi (abruzzese, 1818-1899). 

Quasi tutti diventarono soldati, tutti giovani presi dal fuoco romantico e avventuroso, narravano, ritraevano e raffiguravano la realtà che vedevano, soprattutto soggetti militari, battaglie di prima linea, retrovie, morti e feriti, protagonisti e sconosciuti soldati, luoghi, cavalli ecc.

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Fig. 2 - Carlo Stragliati, Episodio delle Cinque giornate di Milano in piazza Sant'Alessandro, olio su tela, forse prima del 1925, Milano, Museo del Risorgimento

Francesco Hayez lo ricordiamo soprattutto per aver dipinto Il bacio (1859) e La meditazione (1851), due quadri che rappresentano molteplici significati, in particolare sulla storia d'Italia percepita da simbologie patriottiche.

La meditazione: questo dipinto (fig. 3), realizzato nel 1851, riunisce diverse tradizioni pittoriche: il tema sacro e allegorico, il nudo accademico e il genere storico, infatti è un’opera dall’intenso significato simbolico, che offre una personificazione dell’Italia umiliata dalle dolorose guerre di indipendenza, in un’immagine femminile capace di esprimere un fascino magnetico, ma anche un’inconsolabile disperazione.

Attenendosi all’iconografia delle allegorie e dei personaggi biblici femminili, Hayez ha scelto un’inquadratura ravvicinata e un’ambientazione spoglia, senza tuttavia rinunciare alla perfetta resa formale del nudo e alla sua attraente sensualità. La fanciulla indossa una candida e preziosa veste, stretta in vita, che scende lungo le braccia scoprendo le spalle e parte del seno. Il messaggio politico del dipinto è esplicitato da un preciso riferimento alla storia patriottica contemporanea, come testimonia l’iscrizione STORIA D’ITA[LIA] sul dorso del libro e la data delle Cinque giornate di Milano (18-22 marzo 1848), riportata in rosso sulla croce che la protagonista tiene entrambi in mano. L’ombra proiettata dai lunghi capelli sul viso e sul collo, accentua l’intensità dello sguardo alzato che la ragazza ci offre mentre lascia il capo chino verso il basso; e quell’alzare gli occhi racchiude la tenacia di chi non ha perduto la forza di reagire e vuole infondere coraggio ai difensori della patria.

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Fig. 3 - Francesco Hayez, La meditazione, olio su tela, 1851, 92,5 x 71,5 cm, Verona, Civica galleria d’arte moderna.

Il bacio: una forte espressività si avverte anche nell’opera più nota di Hayez, Il bacio (fig. 4), dipinto nel 1859 a quasi 70 anni, in un momento di trionfo per la nazione italiana, che con la vittoria a Solferino celebrava la liberazione dagli austriaci.

In questo quadro si intrecciano il carattere sentimentale della cultura del tempo con l’impegno politico e l’impostazione narrativa prediletta dallo stesso pittore. È un capolavoro di allusioni, di accenni, di inviti a costruire e a immaginare percorsi.

Il dipinto è dominato dalla figura di un giovane, prossimo a partire, che bacia con passione la sua donna. L’apparente semplicità del soggetto, ambientato in un'indistinta epoca medievale evocata dall’architettura e dagli abiti, nasconde in realtà precisi significati storici.

Oltre a esaltare l’amore, il quadro allude all’arrivo a Milano, nel settembre del 1859, di Vittorio Emanuele II, Sovrano del Regno di Sardegna e futuro Re d’Italia, e del Sovrano francese Napoleone III, dalla cui alleanza nascerà la Nazione italiana. L’azzurro e il rosso delle vesti farebbero infatti riferimento alla Francia. L’uso simbolico del colore viene arricchito dalla ricerca di vibrazioni preziose nel trattamento delle stoffe, che mostrano l’influenza di Tiziano e Giorgione, i maestri veneti sui quali Hayez si era formato.

Il quadro venne replicato più volte dall’artista, e fu presentato per la prima volta all’Esposizione di Brera del 1859, inizialmente con il titolo “Giulietta e Romeo”, per il fatto che alla vicenda è riconducibile l’ombra inquietante che si intravede disegnata nella penombra del fondo, lungo il margine sinistro della tela.

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Fig. 4 - Francesco Hayez, Il bacio, olio su tela, 1859, 112 x 88 cm, Milano, Pinacoteca di Brera.

Il macchiaiolo livornese Giovanni Fattori rappresentò differenti scene storiche, variando dai campi di battaglia, ai momenti di ronda lungo i fortini. Nel 1859 il pittore partecipò al concorso Ricasoli bandito dal Governo provvisorio della Toscana per invitare gli artisti a rappresentare i fatti che avevano condotto all’affermazione italiana nel processo risorgimentale. Per questo concorso Fattori realizzò due bozzetti (conservati presso le Gallerie d’Arte moderna di Firenze e Roma), uno incentrato sul tema delle retrovie, l’altro rappresentava l’episodio dell’assalto dei Granatieri della guardia di Napoleone III contro le postazioni austriache al ponte di Magenta; tra i due venne scelto il primo (Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta), la cui versione definitiva fu esposta nel 1862 a Firenze all’Esposizione straordinaria di alcune opere commissionata dal Governo Ricasoli (fig. 5).

Il dipinto raffigura un clima confuso nelle retrovie da cui risalta una realtà più umana che eroica. Per la realizzazione dell’opera, Fattori si recò sui luoghi della battaglia, eseguendo in prima istanza molti disegni. I particolari del carro-ambulanza delle suore e il campo di battaglia appaiono infatti ben caratterizzati, mentre il combattimento vero e proprio è relegato sullo sfondo. La parte centrale della scena è occupata dal carro, contornato dai soldati italiani che rientrano dal campo e dagli alleati francesi. A terra, sulla sinistra, giacciono i corpi di due soldati caduti; poco oltre, dietro al cavallo bianco che china il capo quasi in omaggio alle vittime, si distingue a malapena il plotone di Bersaglieri che raggiunge il campo, distaccandosi dai compagni ancora impegnati in battaglia, oltre la coltre di polvere e fumo. A destra, a cavallo, alcuni ufficiali osservano lo svolgersi degli eventi, sovrintendendo senza partecipazione emotiva.

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Fig. 5 - Giovanni Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, olio su tela, 1861, 232 x 384 cm, Firenze, Galleria d’arte moderna.

Questi sono solo alcuni esempi volutamente selezionati per “raccontare” i sentimenti che riecheggiavano tra gli artisti che vissero in prima persona il desiderio di unità nazionale. Sentimenti così forti che portarono il popolo italiano a combattere per un ideale, per una libertà e nel voler esprimere il concetto di uguaglianza, sentendosi ancora cittadini di una sola Nazione, come lo erano stati in passato, sotto l’Impero romano, arrivando a lottare fino alla morte per quella speranza che il 17 marzo 1861 portò finalmente alla realizzazione di quel sogno.


Suggerimenti di lettura:

1861, I pittori del Risorgimento, a cura di Fernando Mazzocca e Carlo Sisi, con la collaborazione di Anna Villani, SKIRA, Milano 2010


Bibliografia:

Baldriga I., Dentro l’arte – Contesto, metodo, confronti, Vol. 4 “Dalla Controriforma all’Impressionismo, Electa – Mondadori Education, Milano, 2017, pp. 206, 252, 270-272.

Beltrame L., Demartini E., Tonetti L. (a cura di), L’arte tra noi, Vol. 4 “Dal Barocco all’Art Nouveau”, Electa –Bruno Mondadori (ed. scolastica - ARTE), Roma, 2008, pp. 137, 204-205, 209.

Bora G., Fiaccadori G., Negri A., Nova A., I luoghi dell’arte – Storia, opere, percorsi, Vol. 5 “Dall’età neoclassica all’Impressionismo”, Electa – Bruno Mondadori, Roma, 2006, pp. 124-125, 203-204.


Sitografia:

http://www.artericerca.com/Articoli%20Online/Arte%20e%20unit%C3%A0%20d'Italia%20-%20Giovanni%20Attin...

https://www.artesvelata.it/risorgimento/

https://www.analisidellopera.it/arte-e-risorgimento/

https://it.wikipedia.org/wiki/Incontro_tra_Giuseppe_Garibaldi_e_Vittorio_Emanuele_II


Immagini:

https://google.it