Lisbona 1960

di Eleonora Vicario

Una giovane Jole De Maria[1] mezzosoprano, insieme a un nutrito cast, cantava nel 1960 al Teatro São Carlos di Lisbona e quelle opere liriche venivano trasmesse anche per radio. Per molti giorni, tra prove e recite, la De Maria rimase in città potendo, in realtà, godere molto poco delle sue bellezze perché sempre impegnata.

Il Teatro São Carlos, il grande teatro di Lisbona, venne completato nel 1795 da José da Costa e Silva sulle rovine di un edificio che fu distrutto da un terremoto e riecheggia lo stile del Teatro San Carlo di Napoli (1737) e della Scala di Milano (1778). Il teatro produce ancora oggi opere liriche, musica corale e sinfonica.

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Brochure della stagione operistica 1960

Il cast di quella tournée comprendeva - oltre Jole De Maria - Luigi Alva, Raffaele Ariè, Gino Bechi, Sesto Bruscantini, Mariano Caruso, Rosanna Carteri, Mara Cristina Castro, Gianna D'Angelo, Lucia Danieli, Giuseppe Di Stefano, Carlos Fonseca, Luis Franca, Tito Gobbi, Alfredo Kraus, Manuel Leitao, Anna Maccianti. Alvaro Malta, Mirella Parutto, Paolo Pedani, Mirto Picchi, Elena Rizzieri, Anna Maria Rota, Paolo Silveri, Italo Tajo, Shakeh Vartenisian, Paolo Washington e Silvana Zanolli.

Molti di questi nomi hanno fatto la storia del Teatro lirico italiano!

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Cast

Dall’11 al 13 Marzo presentarono il Macbeth, sotto la Direzione di Vittorio Gui; dal 25 al 27 dello stesso mese, Un ballo in maschera; dal 1º al 3 Aprile La Cenerentola, entrambe dirette da Alberto Erede; dall’8 al 10 Aprile Il campiello e dal 13 al 19 Aprile La sonnambula, entrambe dirette da Carlo Felice Cillario; infine, dal 22 al 24 Aprile, Mefistofele: Direttore, il grande Oliviero De Fabritiis. Tutte le recite furono molto applaudite e molti quotidiani ne riportarono il successo.

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Ritaglio di giornale dell’epoca

La permanenza in terra portoghese ebbe per la nostra artista momenti di grande emozione; le si presentò pure un inedito imprevisto che lei ci racconta personalmente in appunti estemporanei, ritrovati fra le sue carte. Scrisse infatti:

Re Umberto e mio padre[2] si allenavano, a Roma, con lo stesso maestro di scherma, Agesilao Greco; si incontravano da lui e nel tempo sono diventati amici.

Quando si è saputo che sarei andata a Lisbona mio padre lo avvertì; ma io non lo sapevo. L'ho capito quando ero a teatro e mi stavo preparando per andare in scena: le sarte, che erano italiane, hanno cominciato a darsi voce: ‘C'è il Re, c'è il Re in sala! C'è il Re! Erano sette anni che non veniva più!’

Mi sono spaventata perché ho capito che era venuto per me. Una vergogna, quando dovevo uscire da dietro le quinte per andare sul palcoscenico...

Poi ci hanno fatto le fotografie mentre lui mi faceva i complimenti, quando mi ha invitato a casa sua a Cascais. Mi mandò a prendere da un autista e una segretaria. Bella casa! Mi diceva guardando fuori dalla finestra: ‘Vede, c'è l'oceano. A me dà l'idea di avere davanti il mare dell'Italia’.

Sapeva pure di Aldo[3]: mi ha chiesto sue notizie; vuol dire che papà ne parlava con orgoglio. Ogni mattina mi arrivava una orchidea in albergo, anonima. Non ho mai saputo chi me la mandasse, anche se penso fosse il Re.”[4]


Quella sera, al Teatro São Carlos si dava Il campiello.

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I giornali dell’epoca commentano “Il campiello”, un'opera lirica di Ermanno Wolf-Ferrari.

Effettivamente, la De Maria ci ha lasciato la testimonianza di quell’incontro emozionante.

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Re Umberto II e Jole De Maria a Cascais

Le parole di Re Umberto, riportate dalla cantante, dovrebbero far vergognare profondamente ogni italiano. Dovremmo vergognarci per aver permesso che andasse in esilio e dovremmo vergognarci e indignarci per il fatto che sia ancora sepolto in terra straniera!

Una melanconia struggente di chi è stato schiacciato dalla menzogna con cui si è arrivati alla fine della Monarchia italiana e dalla beffa della XIII disposizione transitoria della Costituzione, transitoria… fino al 2002 e, nei fatti, ancora oggi!

L’esilio è stata una pena molto diffusa nel mondo antico e consisteva nell’allontanamento obbligatorio del “condannato” dalla sua patria. Era una pena quasi esclusivamente legata a motivi politici, ad esempio, l’ascesa violenta di un nuovo regime comportava la messa al bando dei suoi oppositori. 

“Lo stesso Platone, se dapprima insegnò dover essere [l’esilio] la pena personale, riconobbe però, precorrendo moderne dottrine, un atavismo e una delinquenza congenita, allorché gli ascendenti di più gradi consecutivi fossero stati condannati a morte. Proponeva perciò che i discendenti si dovessero riguardare come appartenenti ad una razza incorreggibile e, come esseri pericolosi allo stato, fossero cacciati in esilio. Era questa una limitata eccezione che Platone poneva al principio della personalità della pena706”. La pena, infatti, per il grande filosofo era “Ιατρεία τής φυϗής, […] la medicina dell’anima 707”, e, in quanto tale, “era perciò necessaria nell’interesse non soltanto dello stato, che ha per iscopo la virtù, ma anche del colpevole stesso che colla pena doveva espiare il misfatto e ritornare alla virtù 708”.

[…] In tale civiltà [a Sparta], più precisamente, la pena era applicata “in un interesse esclusivamente politico 737”. Licurgo, non a caso, nella propria attività legislativa, mirò ad ottenere “cittadini forti e robusti, uno stato ordinato e potente738”. In tale civiltà “l’uomo ha un valore in quanto è in grado di difendere la patria, che si incarica dell’educazione marziale dei cittadini. I neonati deboli e difettosi, come esseri inutili, sono esposti sul Taigeto 739”. Da tale weltanschauung ne deriverebbe, non a caso, che “non si punisce l’offesa all’onore personale, si bene all’onore militare740”. Le pene principali si identificano nella “morte e l’esilio […] che servono a eliminare dallo stato coloro che al medesimo e all’ordine interno sono maggiormente pericolosi741”. [5]

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  Tavola analitica di Legislazione di Dottrina e di Giurisprudenza Napoli, Tipografia dello Stabilimento dell’Ateneo 1836

“3. Nello stato attuale delle cose, l’esilio è compreso nelle pene infamanti (C.pen.,art.8=31l.pen). La pena dell’esilio consiste nell’essere il condannato trasportato per ordine del governo, fuori del territorio del regno. La sua durata è di cinque anni almeno, e di dieci anni al più (art.32=13). 

4. L’esilio si differisce dalla deportazione primieramente perché è una pena infamante, e non già una pena afflittiva ed infamante, secondariamente perché è temporaneo, mentre la deportazione è perpetua.” 

Questa pratica, sopravvissuta a lungo, teoricamente è uscita dalla giurisprudenza ma per Re Umberto II, nel 2020, è ancora viva e non gli viene concessa la sepoltura al Pantheon dove tutti i Re d’Italia – segno della nostra Storia - dovrebbero riposare.

Molte Nazioni dell’Est hanno reso onore al loro passato. Noi continuiamo ad infangarlo.


 



1.Jole De Maria (Alcara Li Fusi, 10 maggio 1929 – Fonte Nuova, 23 maggio 2007), cantate lirica: https://it.wikipedia.org/wiki/Jole_De_Maria

2. Salvatore De Maria (Alcara li Fusi, 28.11.1890 – Mentana, 02.02.1973), militare di carriera in Fanteria, Medaglia d’Argento al Valor Militare.

3. Aldo De Maria (Palermo, 21 gennaio 1925 – Amalfi, 28 agosto 1973), Chirurgo italiano http://www.treccani.it/enciclopedia/de-maria-marthiano-aldo_(Dizionario-Biografico)/

4. Oltre la quinta, E. Vicario, S. G. Vicario, 2013; Ed. Arcipelago

5.  UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Corso di Laurea in Giurisprudenza Tesi di Laurea Magistrale L’ISTINTUALITÀ DEL DIRITTO PENALE: DALLA VENDETTA AL CARCERE (post fata resurgam?) Il Candidato: Daniel Monni Il Relatore: Chiar.mo Prof. Luca Bresciani Anno Accademico 2015/2016