Papa Francesco e la stretta sul rito antico. La questione liturgica alimenta il dibattito nella comunità cattolica.

di Carlo Giovanni Sangiorgi


Le notizie di questi caldi giorni di luglio sono tutte concordi nell’affermare che il Motu Proprio “Traditionis custodes”, promosso da Papa Francesco I, è destinato a fare discutere la comunità cattolica per molto tempo.

Il provvedimento fortemente voluto dal Santo Padre vieta di fatto la celebrazione delle Sante Messe secondo il rito romano antico in vigore prima del Concilio Vaticano II del 1962, in parole molto sintetiche il modus celebrandi tradizionale in latino con il sacerdote rivolto verso l’altare e di spalle ai fedeli, abolito durante la revisione liturgica voluta dai Papi San Giovanni XXIII e Paolo VI.

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Tra le varie concessioni che seguirono negli anni successivi, l’uso del messale romano preconciliare venne maggiormente ampliato nel 2007 da Papa Benedetto XVI, attraverso la redazione di un apposito Motu proprio, il “Summorum pontificatum”: la concessione nasceva dopo una attenta riflessione liturgica, la quale andava incontro a molte richieste provenienti dei fedeli, in particolar modo dai sostenitori delle tesi lefebvriane e altri conservatori tradizionalisti.


Fig 2jpg Papa Benedetto XVI da https://www.sabinopaciolla.com/il-papa-emerito-benedetto-xvi-nella-nuova-biografia-parla-dellanticri...


Dal quotidiano Libero si apprende quanto dichiarò l’allora Pontefice in seguito alla decisione:


Rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tuttala storia della liturgia. Si diede l'impressione che questo fosse del tutto normale. […] Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli […] senza mai contrapporre un messale a un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta. Ora invece la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell'antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche […] si fece a pezzi l'edificio antico e se ne costruì un altro. […] per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l'unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita etsi Deus non daretur: come se in essa non importasse più se Dio c'è e se ci parla e ci ascolta1.


Dal messaggio si evince un tentativo di Papa Ratzinger di riconciliare le diverse correnti di pensiero all’interno della comunità cattolica, promuovendo una continuità liturgica, possibile attraverso l’intreccio tra la tradizione antica e le disposizioni del Concilio Vaticano II. In quel frangente di tempo, Sua Santità era convinto che il messale latino di Pio V non avrebbe di fatto aperto una spaccatura all’interno della Chiesa, ma prodotto un processo di arricchimento: una motivazione spinta anche dalla volontà di sostenere un dibattito caratterizzato da solide basi senza dimenticare il passato della Chiesa, le dinamiche e gli eventi che hanno formato la struttura religiosa cristiana. Il taglio netto con il passato, come racconta Benedetto XVI, avrebbe creato solamente divisioni e instabilità, in un equilibrio flebile che attraversa, de facto, tutte le epoche. Ogni contributo verrebbe quindi visto come la normale evoluzione e crescita della comunità. Se ne può apprezzare, dunque, una riflessione teologica molto acuta, in linea con le qualità spirituali che contraddistinguevano Benedetto XVI, legato ad una tradizione estremamente impiantata sui pilastri della Fede e della Storia della Chiesa romana.

Papa Francesco I, nella Sua lettera accompagnatoria al “Traditionis custodes”, ha recentemente ammonito ad un uso strumentale del messale in rito romano preconciliare, portando, secondo il Suo punto di vista, di conseguenza a divisioni all’interno della cristianità cattolica e un messaggio spirituale sbagliato. In essa non si limita a spiegare i motivi che lo hanno spinto ad emettere questo Motu proprio, ma ha voluto altresì fare un riepilogo circa l’evoluzione della materia nel tempo. La lettera recita quanto segue:


[…] Sono evidenti a tutti i motivi che hanno mosso san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI a concedere la possibilità di usare il Messale Romano promulgato da san Pio V, edito da san Giovanni XXIII nel 1962, per la celebrazione del Sacrificio eucaristico. […] era soprattutto motivata dalla volontà di favorire la ricomposizione dello scisma con il movimento guidato da Mons. Lefebvre. La richiesta, rivolta ai Vescovi, di accogliere con generosità le «giuste aspirazioni» dei fedeli che domandavano l’uso di quel Messale, aveva dunque una ragione ecclesiale di ricomposizione dell’unità della Chiesa.

Quella facoltà venne interpretata da molti dentro la Chiesa come la possibilità di usare liberamente il Messale Romano promulgato da san Pio V, determinando un uso parallelo al Messale Romano promulgato da san Paolo VI. Per regolare tale situazione, Benedetto XVI intervenne sulla questione a distanza di molti anni, regolando un fatto interno alla Chiesa, in quanto molti sacerdoti e molte comunità avevano «utilizzato con gratitudine la possibilità offerta dal Motu proprio» di san Giovanni Paolo II. […] il Motu proprio Summorum Pontificum del 2007 intese introdurre in materia «un regolamento giuridico più chiaro». Per favorire l’accesso a quanti – anche giovani –, «scoprono questa forma liturgica, si sentono attirati da essa e vi trovano una forma particolarmente appropriata per loro, di incontro con il Mistero della Santissima Eucaristia», Benedetto XVI dichiarò «il Messale promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII come espressione straordinaria della stessa lex orandi», concedendo una «più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962».

A sostenere la sua scelta era la convinzione che il tale provvedimento non avrebbe messo in dubbio una delle decisioni essenziali del concilio Vaticano II, intaccandone in tal modo l’autorità: il Motu proprio riconosceva a pieno titolo che «il Messale promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della lex orandi della Chiesa cattolica di rito latino». Il riconoscimento del Messale promulgato da san Pio V «come espressione straordinaria della stessa lex orandi» non voleva in alcun modo misconoscere la riforma liturgica, ma era dettato dalla volontà di venire incontro alle «insistenti preghiere di questi fedeli», concedendo loro di «celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa.2


Fig 3jpg Papa Francesco I da https://diocesialessandria.it/2020/03/05/il-messaggio-di-papa-francesco-per-la-quaresima/


Sino a questo punto della lettera, vi è dunque il riconoscimento nei confronti dei Suoi predecessori di ricercare una mediazione tra le richieste dei fedeli e dei sacerdoti, mettendo l’accento sulle norme che regolamentavano la concessione di celebrare Messa in rito antico preconciliare. Una puntualizzazione oggettiva che dona una sintesi circa l’evoluzione liturgica degli ultimi 50 anni e i punti fondamentali che l’hanno determinata. Dallo scritto si evince che nessuno dei Papi avesse voluto mettere in discussione le disposizioni del Concilio Vaticano II, ma che tuttavia vi fosse stata la necessità di regolamentare una richiesta e che poteva potenzialmente portare ad una crescita, valutando caso per caso, specie in quei giovani che si erano affacciati ad un rituale, per certi versi, maggiormente adatto i loro bisogni spirituali. Tuttavia, Francesco fa notare come però la benevolenza di Benedetto XVI sia stata pienamente fraintesa, nel Suo tentativo di portare su di un terreno di confronto positivo il Missale Romanum del 1962 edito da San Giovanni XXIII e promulgato da Papa Paolo VI, riconosciuto anche dal Papa Emerito come “messale ordinario”, e quello di San Pio V. Quest’ultimo, quindi, si tratterebbe di un modus straordinario nella celebrazione delle Messe, conseguentemente regolato dalle autorità ecclesiastiche.

Dalle indagini che Papa Francesco ha delegato alla Congregazione della Dottrina della Fede, si è ricavato uno scenario tutt’altro che positivo dal Suo punto di vista. Così scrive:


[…] Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso «fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente», è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni.

Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch’io stigmatizzo che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile». Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”. Se è vero che il cammino della Chiesa va compreso nel dinamismo della Tradizione, «che trae origine dagli Apostoli e che progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo», di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la tappa più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa. Dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa.

[…] Un’ultima ragione voglio aggiungere a fondamento della mia scelta: è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”3


La lettera si chiude delegando i vescovi a vigilare sulla corretta applicazione del Missale Romanum del 1962 e del sopracitato Motu Proprio, scongiurando tutti quei tentativi atti a creare tensioni all’interno delle comunità pastorali.

Da queste parole, durissime per certi versi ma mai aggressive, si evince la constatazione di un uso improprio del messale romano e un forte gesto ad impedire scismi e derive come quelle di Monsignor Lefebvre dopo il Concilio Vaticano II, il quale venne in seguito scomunicato da San Giovanni Paolo II nel 1988. Una presa di posizione molto decisa in anni ove il pontificato di Papa Francesco non è stato esente da forti critiche provenienti da tutti i livelli della Chiesa cattolica: l’introduzione di nuovi canoni, l’intento di essere più vicino agli ultimi, una maggiore apertura nei confronti di altre religioni, usi e costumi sono andati, inevitabilmente, a collimare con quelle che sono esigenze diverse più vicine ai canoni tradizionali.

Tra le voci contrarie all’iniziativa papale, spunta il Cardinale americano Raymond Burke, prefetto emerito della Segnatura apostolica che si è pronunciato negativamente sulla scelta del Pontefice: secondo il suo punto di vista, non è corretto considerare il Missale Romanum del 1962 come <<espressione unica della lex orandi del rito romano>>, come emanato dal Traditionis custodes, in quanto il rito straordinario è <<una forma viva del rito romano e non ha mai cessato di esserlo4>>. Il porporato afferma altresì che i fedeli più tradizionalisti avrebbero un maggiore attaccamento alla Chiesa e alla comunità pastorale, perciò non ci sarebbero in atto motti separatisti causati dall’applicazione della pratica preconciliare. Al contrario, vietarla completamente porterebbe solamente sconforto e sentimenti negativi nelle parrocchie stesse.

Anche Joseph Shaw, Presidente della Latin Mass Society nel Regno Unito, ha dichiarato al Register di 

documento sconcertante, che supera le nostre peggiori aspettative. […] Papa Francesco ha completamente annullato le disposizioni del Summorum Pontificum e ha creato una situazione che sembra del tutto impraticabile […] I termini negativi del documento saranno una grave delusione per quei molti laici e sacerdoti che hanno usato la Forma Straordinaria perché Papa Giovanni Paolo II e Papa Benedetto XVI li hanno incoraggiati a farlo, descrivendola rispettivamente come una ‘giusta aspirazione’ e una ‘ricchezza’ per la Chiesa.5

A questo giudizio critico si aggiunge anche Luigi Casalini, editore di Messa in Latino, il quale sostiene che il Summorum Pontificum di Benedetto XVI sia stato <<abrogato con una violenza senza precedenti e una totale mancanza di carità>>6.

Antonio Socci, sul quotidiano Libero, si mostra “lapidario” concludendo il suo articolo in questo modo: 

La decisione di Francesco, che azzera un pilastro del pontificato di Benedetto XVI, è un doloroso errore che toglie libertà e provocherà nuove divisioni. Il papa fa il grosso regalo ai lefebvriani dell'esclusività del rito antico e di alcuni fedeli. E la Chiesa è sempre più smarrita e confusa in questo tramonto di pontificato.

Un’analisi oggettiva delle varie posizioni, mostra come il Motu Proprio di Benedetto XVI sia, per certi versi, la chiave unificante della questione, la cui interpretazione ha portato alla formazione delle diverse posizioni liturgiche. Se da un lato Papa Francesco difende le azioni dei Suoi predecessori, ammonendo ad una mistificazione delle loro reali intenzioni, ovvero una continuità e preservazione delle disposizioni del Concilio Vaticano II, dall’altro vi sono persone che vedono tale documento come una liberalizzazione ed una promozione del rito romano di Pio V. Lo sgomento generato dalla limitazione di quest’ultimo va certamente a sommarsi al malcontento di quei gruppi spesso in aperto contrasto con le azioni promosse da Papa Francesco durante il Suo pontificato.


Fig 4jpg Il fraterno rispetto tra Papa Francesco e il Papa emerito Benedetto da https://www.ilpost.it/2020/01/13/benedetto-xvi-critiche-papa-francesco/


Ma tralasciando il connotato politico della protesta, vorrei portare la riflessione su un piano prettamente spirituale, che vada in un qualche modo ad indagare quelli che sono i bisogni attuali della comunità cristiana. Mi chiedo, infatti, perché l’antico rito incriminato si stia diffondendo nel 21° secolo e venga sempre maggiormente apprezzato da alcuni gruppi di giovani, in un periodo ove l’antico viene spesso ripudiato o ridotto a materia secondaria? Vista la crisi di identità e di valori che la nostra società sta attraversando su tutti i livelli, la forma liturgica straordinaria, così come definita dalla stampa e da Papa Francesco stesso, risponde in una qualche maniera ad una necessità di spiritualità più ricercata e intima?

Probabilmente, la pratica romana preconciliare va ad appagare alcune sensibilità locali che mostrano una peculiare espressività interna alla comunità stessa. In un mondo che cambia sempre più velocemente, con un numero sempre maggiore di persone, le esigenze, le idee e gli orientamenti si evolveranno con altrettanta velocità. Una sfida sempre più crescente per la Chiesa di Roma sarà far fronte ad un numero di bisogni spirituali più variegati e complessi, i quali si affideranno alla liturgia, ovvero il mezzo attraverso cui si concretizza il messaggio divino. Ciò non toglie che i toni utilizzati per dimostrare il disaccordo nei confronti della più alta guida della Chiesa cattolica, abbiano spesso raggiunto connotazioni inaccettabili dal punto di vista etico e morale: aldilà delle parole aspre utilizzate da molti giornalisti e autori, molti fedeli sono arrivati alla polemica sterile e, purtroppo, alle offese gratuite, pubblicamente e sui principali canali internet, tra cui i social network. In un contesto ove dovrebbero regnare pace, amore e comprensione, si arriva paradossalmente a tensioni e sfiducia in quella figura che è la testimonianza del messaggio di Dio, la cui origine è nella Sua volontà. La certezza è che la questione liturgica di questi giorni si protrarrà per lungo tempo se non vi sarà dialogo e le varie posizioni rimarranno ferme sulle proprie convinzioni, specie se a regnare sarà il pregiudizio, cosa che Gesù Cristo stesso ammoniva.

1 https://www.liberoquotidiano.it/news/italia/28001080/papa-francesco-cancella-ratzinger-antonio-socci...

2 https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/07/16/0469/01015.html

3 https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/07/16/0469/01015.html

4 https://www.aldomariavalli.it/2021/07/17/dopo-traditionis-custodes-burke-davanti-a-tanta-durezza-i-f...

5   https://www.sabinopaciolla.com/card-burke-il-motu-proprio-traditionis-custodes-e-segnato-da-una-dure...

6 Ibidem
7 (https://paneefocolare.com/2017/10/23/contro-gli-abusi-liturgici-pane-e-vino-di-origine-controllata/)