Recovery Fund, quale sarà la ripresa dalla pandemia?
In questi mesi di incertezza e crisi economica legata alla diffusione pandemica del nuovo Coronavirus abbiamo sentito spesso parlare di strumenti per la ripresa, specialmente a livello dell’Unione europea, nonché delle loro condizionalità, più o meno elevate e quindi rischiose per l’economia e le finanze del nostro Paese.
Dopo un lungo dibattito sull’utilizzo del Meccanismo europeo di Stabilità (MES), paesi membri prima riluttanti, come la Germania della Cancelliera Merkel e la Francia del Presidente Macron, hanno dato spazio anche all’approvazione di un piano specifico di ripresa dalla crisi pandemica (il così detto Recovery plan), concretizzatosi poi nel più ambizioso progetto detto Next Generation EU, conosciuto come Recovery Fund, una manovra per 750 miliardi di euro proposta su impulso del Consiglio europeo (il vertice dei Capi di governo dell’Unione) ed approvata in concomitanza del nuovo Quadro finanziario pluriennale (QFP 2021-2027) che ha gettato le basi per il prossimo decennio economico per i paesi dell’Unione europea. Questi due strumenti, insieme, hanno allocato oltre 1824 miliardi di euro, ma l’Italia quanto ha guadagnato da tutto ciò, considerando che è stato tra i paesi più colpiti, sia umanamente che economicamente, dalla pandemia?
Recovery Fund significherebbe letteralmente fondo per la ripresa. A discapito del nome, però, non si tratta affatto di uno strumento a fondo perduto. Questo piano è dotato di diversi strumenti, tra cui ReactEU (per 45 miliardi di euro), Orizzonte Europa (5 miliardi di euro), InvestEU (5 miliardi di euro) ed altri (per un totale 20 miliardi di euro). Lo strumento principale è però il Dispositivo per la ripresa e la resilienza (RFF), che con la maggior parte dei fondi del piano (i restanti 670 miliardi di euro), alloca 360 miliardi per prestito con forti condizionalità (anche superiori a quelle del MES, sic!), da spartire tra gli stati membri colpiti, i quali, per poterli utilizzare, dovranno inviare alla Commissione europea la bozza del piano per l’utilizzo nazionale dei fondi dell’RFF entro il 30 Ottobre 2020. Inoltre, gran parte di questi fondi risultano altamente rischiosi perché sbloccabili solamente dopo il raggiungimento degli obiettivi proposti dal piano nazionale.
L’Italia ha inviato il suo piano? Sì, il Governo ha inviato la sua bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) sui 209 miliardi di euro assegnati all’Italia solo pochi giorni prima della scadenza del termine e non senza critiche, la bozza era infatti 1/5 di quella presentata settimane prima dalla Francia e molto meno dettagliata rispetto alla bozza francese, nonostante il bisogno di fondi sia piuttosto superiore rispetto quello dei colleghi d’oltralpe. L’opposizione più aspra a livello nazionale è stata poi quella del Senatore Matteo Renzi (Italia Viva), che, oltre ad aver criticato le modalità di stesura della bozza ha fatto di alcune esigenze di modifica al foglio una questione giustamente così importante da aprire persino alla crisi di governo il 13 Gennaio 2021. Tra queste problematiche spiccava la critica sull’assegnazione alla parità di genere ed alla sanità, in periodo di pandemia, delle medesime, e piuttosto basse, risorse: 4,2 miliardi di euro.
Perplessità
condivise poi anche dalla Commissione europea stessa, che ha
informalmente bocciato la nuova bozza del PNRR italiano solo pochi
giorni dopo l’apertura della crisi di governo. Lorenzo Bini Smaghi
(economista italiano, membro del comitato esecutivo della BCE, la
Banca Centrale Europea) ha poi asserito senza ombre di dubbio “è a
rischio la credibilità del Paese”. Non solo, ne è a rischio il
futuro, si tratta di una situazione esasperata che rende però ben
chiara l’importanza della qualità di questo piano economico per il
destino economico, politico e sociale del Paese.
Alla presentazione finale del PNRR mancano solo pochi mesi, in quanto la scadenza di presentazione della versione finale del piano è fissata da Bruxelles per il 30 Aprile 2021. Entro quel giorno l’Italia dovrà essere capace di esprimere personalità capaci di portare avanti la “ricostruzione” dopo il virus, per usare le parole del discorso di fine anno del Presidente Sergio Mattarella. “costruttori” degni di questo nome, però. Da mesi ormai circola tra le testate il nome di Mario Draghi, ex Presidente della BCE, ma senza ancora alcun riscontro dalla realtà politica del Paese, sempre più impantanata in se stessa.