Un Crocifisso contro il coronavirus: Il Cristo di Don Camillo chiamato a fermare la moderna peste. 





di Giorgio Moscatelli

 

Erano le 22,00 di un novembre freddo e piovoso. Il lungo ponte ferroviario attraversava il Grande Fiume con un balzo, i binari si rincorrevano desolati su lastre di metallo nero, il traffico dei treni era bloccato già dalla mattina. Gli argini erano sovraffollati da persone accorse per vedere la grande massa d’acqua; sotto il ponte, il Po scorreva veloce verso il mare emettendo un brontolio inquietante.

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Ponte ferroviari di Pontelagoscuro

Ero sul cavalcavia della ferrovia che collega Bologna a Padova, a Pontelagoscuro, nei pressi di Ferrara. Alcuni tecnici della Protezione Civile, alla luce di forti lampade, controllavano un idrometro posto su uno dei piloni sotto il ponte. Era la sera del 7 Novembre del 1994, l’alluvione era iniziata due giorni prima, in Piemonte, con l’esondazione del Tanaro. Il fiume, dopo tre giorni di piogge continue, era cresciuto a dismisura e, uscendo dai suoi argini, aveva invaso gran parte del territorio dei comuni limitrofi. L’enorme massa di acqua era poi arrivata fino al Po. Il Grande Fiume, già carico delle acque portate dagli affluenti più a monte, l’Orco e la Dora Baltea, era aumentato notevolmente, straripando in vari punti del suo percorso, causando ingenti danni e allagamenti estesi.

I miei colleghi ed io eravamo in attesa di quell’onda di piena prevista per la notte. Faceva freddo ed ero preoccupato per quello che sarebbe potuto accadere. Il Po che scorreva sotto di me andava veloce verso la foce trasportando con sé tutto quello che trovava nell’acqua e sulle sponde. Mentre guardavo quella massa scura, andavo con la mente a quanto era accaduto nella giornata. La mattina avevo registrato le immagini della zona alluvionata alla confluenza con il Tanaro. Ero a bordo di un elicottero dei Carabinieri e dall’alto la devastazione era più evidente. Vasti terreni erano sotto fango e acqua: c’erano case semisommerse, alcune mucche, che si erano salvate dalla furia dell’alluvione, vagavano per le campagne con le zampe immerse fino ai garretti. Sulle strade, anch’esse semisommerse, automezzi anfibi dei Vigili del Fuoco giravano alla ricerca dei dispersi.

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Alluvione del Po del 1994

Lasciato l’elicottero a Piacenza, stavamo tornando verso Ferrara in auto. Eravamo sulla via Emilia quando ho visto un segnale stradale che indicava Brescello. Abbiamo fatto una deviazione verso quel Paese di cinematografica memoria. Nella Cittadina della Bassa Reggiana era stata girata la fortunata serie di cinque film su Don Camillo e l’Onorevole Peppone, racconti nati dalla penna dello scrittore e giornalista Giovannino Guareschi. La vicenda raccontava ironicamente la storia del Parroco Don Camillo, impersonato dall’attore francese Fernandel, e della sua eterna lotta con il Sindaco comunista Peppone, Gino Cervi. La lotta finiva inevitabilmente con pacifiche strette di mano tra i due contendenti. Agli interpreti principali se ne univa un terzo: il Cristo in Croce che parlava con il parroco. A Gesù si rivolgeva il prelato per chiedere consigli; il Cristo, a sua volta, dava pareri con una voce accondiscendente o ammoniva il sacerdote con espressione adirata. Per rendere più veritiera questa conversazione, pur nell’ironia che c’era tra il prete e il Salvatore, erano stati scolpiti nel legno tre volti di Gesù, sorridente, tollerante e adirato: il viso veniva cambiato secondo le esigenze del copione. Il Crocifisso, una volta terminate le riprese e dopo una solenne benedizione, era stato donato alla Chiesa.

In uno di quei film si narrava di un’inondazione. Probabilmente il riferimento era all’alluvione del Polesine avvenuta nel 1951, una tragedia che causò circa 100 vittime e 180.0000 senza tetto, con molte conseguenze sociali ed economiche. Don Camillo, per chiedere la grazia al Signore affinché mettesse fine a quell’evento drammatico, aveva portato il Crocifisso in processione sul Po. Quelle pellicole con un Cristo parlante avevano commosso e divertito il pubblico cinematografico di quel periodo. Eravamo alla fine degli anni ‘50, la Seconda Guerra Mondiale era finita da poco e tra i miei ricordi più cari di quegli anni ci sono i film di Don Camillo e l’Onorevole Peppone. Inutile dire che ho visto quelle pellicole diverse volte. Erano gli anni della mia infanzia.

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Don Camillo e L'Onorevole Peppone 

Una volta arrivati a Brescello, ci siamo diretti nella Chiesa di Santa Maria Nascente, dove ho chiesto al Parroco di vedere il Crocifisso del film. Il sacerdote mi ha accompagnato verso una porta; siamo scesi per delle scale e lì, poggiato al muro, coricato da una parte e con uno dei bracci della Croce che toccava per terra, c’era il famoso Cristo in completa solitudine. Nella mia immaginazione sembrava mi stesse dicendo: “Guarda dove mi hanno abbandonato”. Una mano e i piedi di Gesù erano già lambiti dall’acqua. Anche in quel sottoscala stava salendo l’alluvione. Era un’immagine triste e significativa della situazione. Ho registrato alcuni fotogrammi di quella visione molto eloquente mentre, in cuor mio, ho scambiato due parole con il Salvatore ricordando il tono della voce che aveva nel film. Ho salutato Gesù, il gentile Parroco e sono ripartito alla volta di Ferrara.

Sorridevo ancora al ricordo della serie cinematografica e della mattinata passata a Brescello, in compagnia dei due antagonisti creati da Guareschi, ma con il passare delle ore il freddo stava crescendo. Le lastre di quel ponte mi trasmettevano il gelo attraverso le suole delle scarpe. Ad aumentare il disagio, una pioggerellina fitta era cominciata a cadere portando con sé una fastidiosa umidità. Lontane, le finestre illuminate delle abitazioni di Pontelagoscuro sembravano occhi curiosi. L’acqua del Grande Fiume aveva accelerato la sua velocità con l’approssimarsi dell’onda di piena ed era aumentato il sordo frusciare e gorgogliare della massa di liquido spinta dalla corrente.

Come a un segnale, tutti quelli che erano sul ponte (compreso me), si sono spostati velocemente sugli argini in attesa di registrare l’eventuale drammatico avvenimento. Al centro del Po era rimasta solo la fragile barriera dei piloni che sostenevano la struttura. Le telecamere della diretta stavano trasmettendo quanto accadeva ai vari telegiornali ed io ero pronto per registrare. Il livello del Po era veramente al limite della portata, sembrava stesse per esondare da un momento all’altro poi, dopo un’ora circa, il livello delle acque è cominciato a scendere. L’allarme era finito e con esso anche il pericolo e le preoccupazioni per il ponte e per le abitazioni vicine all’argine.

Il nostro viaggio è proseguito il giorno seguente nel Polesine, oltre Porto Tolle, ultimo centro abitato prima dello sbocco in mare del più grande braccio del delta, il Po della Pila. A bordo di una barca c’eravamo diretti verso la foce. In quel tratto il fiume era incorniciato da chilometri di canneti che ci hanno accompagnato fino al mare. Lì, sulla spiaggia si era depositato tutto quello che l’acqua aveva trascinato con la sua furia. Sulla sabbia bianca c’erano tronchi d’albero e pneumatici di tutte le grandezze, resti di abiti, pezzi di mobili; c’era plastica ovunque: bottiglie, taniche di tutti i colori, parti di giocattoli e, purtroppo, corpi di animali morti. Il Grande Fiume non aveva lasciato nulla nella sua folle corsa dal Piemonte al mare Adriatico. Con queste ultime immagini abbiamo lasciato il delta del Po che stava pian piano rientrando nel suo alveo. L’alluvione del 1994 aveva causato 70 vittime e 2.226 sfollati.

In questi giorni di emergenza coronavirus, il Cristo parlante di Brescello ha fatto di nuovo la sua comparsa. Il Parroco della cittadina della Bassa Reggiana, Don Evandro Gherardi, emulando il suo collega cinematografico Don Camillo, ha portato sul sagrato della Chiesa il famoso Gesù della serie cinematografica.

“Da questa mattina, Il Crocifisso di Don Camillo è esposto all’esterno della chiesa di Brescello. Cristo morto e risorto per la nostra salvezza, faccia cessare l’epidemia su Brescello, l’Italia e il mondo intero”. Con queste parole, Don Evandro ha annunciato ai fedeli la decisione di porre il Crocifisso fuori dalla chiesa. Il sacerdote ha poi postato su una pagina social il saluto che Fernandel (Don Camillo) aveva dato ai cittadini in fuga in vista della piena del Po”:

"Non è la prima volta che il fiume invade le nostre case, un giorno però le acque si ritireranno e il sole ritornerà a splendere. E allora con la fratellanza che ci ha unito in queste ore terribili, con la tenacia che Dio ci ha dato, ricominceremo a lottare perché il sole sia più splendente, perché i fiori siano più belli e perché la miseria sparisca dai nostri Paesi e dai nostri villaggi. Dimenticheremo le discordie e quando avremo voglia di morte, cercheremo di sorridere così tutto sarà più facile e il nostro Paese diventerà un piccolo paradiso in terra. Andate fratelli, io rimango qui per salutare il primo sole che porterà, a voi lontani, con la voce delle nostre campane, il lieto annuncio del risveglio”.

                                                                           Don Camillo

 

Il Parroco di quel film, dopo questo accorato saluto, era quindi rimasto solo sul campanile; accanto a sé aveva la compagnia di Gesù, di una bottiglia di lambrusco e del pane con del salame. In sala, tra il pubblico, era sceso un silenzio attonito, si sentiva lo sgomento e la tristezza per quel sacerdote abbandonato, ma poi, solo, su una barca a remi, da dietro una casa, è sbucato l’Onorevole Peppone che tornava per salvare il suo amico-nemico. A quel punto gli spettatori hanno cominciato ad applaudire felici della svolta finale.