Siamo a settembre e, anche quest’anno, tra mille difficoltà, la campanella delle 8.00 del mattino inizierà a trillare acclamando folle di studenti che si riverseranno nelle proprie aule per poi sedersi ai milioni di banchi sparsi per l’intera Penisola; con qualche differenza, ma questo è un rituale che, da oltre un secolo, caratterizza la nostra scuola ed il nostro sistema educativo. Seppur con le stesse modalità, questo sarà un inizio d’anno del tutto inedito a causa dell’epidemia da Coronavirus che sta martoriando l’intero pianeta. Non sarà facile, dopo le migliaia di morti che ha visto il nostro Paese, ricominciare l’anno, dopo sei mesi circa, come se nulla fosse; è inutile dire che servirà uno sforzo non indifferente da parte di tutti per rispettare e far rispettare tutte le procedure di sicurezza e prevenzione che devono essere adottate per impedire il diffondersi del virus. A poco o a nulla servirà imporre l’utilizzo di igienizzanti e mascherine se poi non verranno rispettate le regole e le disposizioni ministeriali, unite al buon senso di ciascuno. Tornando al tema principale di questo scritto e facendo un salto indietro di qualche anno, possiamo sostenere che le riforme scolastiche che precedettero e seguirono l’unificazione del Paese dovettero tenere conto del divario tra Nord e Sud del Paese sul piano economico, sociale e politico. In tutte le proposte di legge di quegli anni si nota la volontà di costruire, attraverso l’istruzione, un’identità nazionale forte e consapevole. A dieci anni dall’Unificazione, nel 1871, il livello medio di analfabetismo nel Paese era del 70 per cento circa con punte fino all’80 per cento nel Mezzogiorno ed una punta minima del 42 per cento in Piemonte. Significative anche le cifre degli studenti iscritti alle scuole dai 6 ai 12 anni negli Stati preunitari: dal 93 per cento del Piemonte al 43 per cento di media della Penisola. Malgrado questi dati, fin dalla prima metà dell’Ottocento, anche il Mezzogiorno aveva preso coscienza di questa situazione inaccettabile e molte amministrazioni locali avevano compiuto un vero e proprio salto di mentalità portando il problema scolastico al centro delle decisioni. Le amministrazioni iniziarono a vedere l’istruzione obbligatoria e gratuita come un fattore indispensabile di sviluppo e non più come un vero e proprio peso. Per quanto riguarda il Piemonte, invece, dopo un regolamento elaborato nel 1853 dal Ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna, Luigi Cibario, fu Giovanni Lanza, suo successore, a presentare nel 1855 al Parlamento un progetto di legge per riformare l’istruzione elementare. Il progetto fu esaminato da una Commissione parlamentare dalla quale provenne un controprogetto che vide come relatore Luigi Amedeo Melegari. La commissione contestò a Lanza, ritenendolo inaccettabile, il totale controllo governativo sulla nomina dei maestri contenuto nella sua proposta. Fu solo il 13 Novembre 1859 che, con la legge Casati, si riuscirono a gettare delle vere e proprie basi solide per una prima organizzazione del sistema scolastico nazionale. Tornando alla volontà di voler costruire l’identità nazionale attraverso l’istruzione, anche in campo letterario videro la luce romanzi e scritti rivolti alle nuove generazioni di studenti con l’obbiettivo intrinseco di voler tramandare valori e sentimenti di appartenenza alla neonata Italia; a tal proposito non possiamo non citare 2 romanzi che, bene o male, tutti abbiamo quantomeno sentito nominare: il primo, in ordine cronologico, è uno tra i romanzi per bambini più conosciuti: “Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”; il secondo, invece, è l’intramontabile “Cuore” di Edmondo De Amicis, meglio conosciuto come “Libro Cuore”, oggi, purtroppo, caduto in disuso anche tra i banchi di scuola. “Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino”, meglio conosciuto con il titolo di “Pinocchio”, narra la storia di un burattino, nato dalle abili mani di mastro Geppetto, falegname toscano che, per ovviare alla solitudine, scolpisce un burattino da un ceppo di legno. Questo burattino improvvisamente prende vita. Burattino irrequieto, non passa giorno che non si cacci in qualche pasticcio; al posto di andare a scuola, predilige il divertimento e le cattive compagnie dove incontrerà i vari personaggi che caratterizzeranno le varie avventure e disavventure che faranno dannare il povero mastro Geppetto. Il romanzo in questione viene pubblicato per la prima volta a puntate nel 1881 sul periodico “Il giornale dei bambini” diretto da Ferdinando Martini. Collodi, ritenendo il suo scritto un lavoro non degno di grande lode (una bambinata, secondo le sue parole), vide venire meno il suo interesse per questo lavoro e concluse frettolosamente l’opera con le seguenti parole «stirò le gambe e, dato un gran scrollone, rimase lì come intirizzito.»; l’episodio è quello in cui Pinocchio viene impiccato. La critica e i lettori non apprezzarono questa conclusione e la contestarono duramente, questo portò Collodi a proseguire il suo romanzo arrivando alla pubblicazione in volume unico dell’intera opera nel 1883. In questa seconda parte del romanzo troviamo la vera e propria impronta psicologica e padagogica, voluta da Collodi. Il romanzo, infatti, narra di questo burattino che ha come unico sogno quello di diventare, un giorno, un bambino in carne ed ossa. Per raggiungere lo scopo, Pinocchio dovrà “fare giudizio” e comportarsi da bravo bambino iniziando ad andare a scuola e a rispettare tutte le regole; questo lo porterà, a fine romanzo, a diventare «un ragazzino perbene», per usare le parole dell’autore. “Cuore”, al contrario di quanto narrato in Pinocchio, racconta la storia di una terza elementare nella Torino del 1881 – 1882. Protagonista delle vicende è il piccolo Enrico Bottini, figlio di una famiglia agiata e benestante dell’epoca. Il romanzo si sviluppa su tre binari paralleli: il binario del diario, in cui Enrico Bottini narra tutte le vicende, scolastiche e non, in prima persona per tutto l’anno scolastico; il binario epistolare, incarnato dalle lettere del padre e della famiglia al figlio che regolarmente gli vengono scritte; infine, il binario narrativo in cui si collocano tutti i “racconti mensili” che vedono come protagonisti sempre dei bambini, coetanei di Enrico. Questi tre pilasti vengono ad unificarsi tutti quanti in un unico grande scopo, quello educativo e pedagogico dell’epoca. Gli eventi narrati in Cuore sono ambientati nella Torino post-unitaria e vanno dal 17 Ottobre 1881 al 10 Luglio 1882. In questa opera, forse più che in quella trattata sopra, è più che mai evidente l’intento dell’autore di far affezionare i suoi lettori ai temi e ai valori civili del Regno quali rispetto per l’autorità, rispetto per la legge, rispetto per i genitori, spirito di sacrificio per la Patria, eroismo e tutti quei valori che hanno contribuito alla formazione di intere generazioni. L’intera opera è tenuta insieme dalla narrazione sotto forma di diario interrotta, di tanto in tanto, dai racconti mensili e dalle lettere del padre e della famiglia, sempre dedite alla formazione civile ed educativa del piccolo Enrico. Di seguito propongo la lettura di un racconto mensile e di una lettera. Cuore venne pubblicato nel 1886 e, per generazioni e generazioni di studenti, fu una guida ed una tappa obbligata durante il ciclo di studi. Da diversi anni a questa parte, però, questo capolavoro viene sempre più dimenticato ed ignorato, tant’è che nelle scuole non se ne sente quasi nemmeno più parlare, come se fosse una semplice pagina di libro ormai impolverata e in disuso, ma siamo sicuri che questa opera, con i suoi temi ed i suoi valori, sia davvero un qualcosa da far cadere in disuso? Non so quale sia la risposta idonea a questa domanda, sicuramente, però, posso esprimere un parere, del tutto personale, a riguardo. Prendiamo in considerazione due generazioni molto vicine alla nostra: l’attuale generazione di studenti e quella dei nostri genitori, ora paragoniamone alcune peculiarità come il rispetto per i professori, il rispetto per le persone più adulte o, peggio ancora, per le persone più anziane, il rispetto e la memoria per i valori civili e morali, lo stesso sentimento di legame, nel bene o nel male, alla nostra Nazione, ecco, questi sono solo alcuni dei fattori che differenziano, ahimè in negativo, la generazione attuale da quella precedente. Con questo mio pensiero non voglio certo dire che la causa di questo totale decadimento, sociale e morale, sia la non lettura del libro in questione, ma se davvero un albero va giudicato dai frutti, forse quella scuola, ritenuta oggi obsoleta, nozionistica e quanto di più negativo si voglia aggiungere, non era poi così male. La scuola potrà essere considerata la seconda famiglia di ciascuno studente soltanto quando la famiglia diventerà la prima scuola dei rispettivi studenti.