Archeologia industriale a Guidonia Montecelio

di Giorgio Moscatelli

Il cementificio Buzzi Unicem S.p.A. di Guidonia è un moderno stabilimento, uno dei più grandi d’Europa nel settore. L’impianto industriale realizza il ciclo completo della produzione del cemento: estrazione delle materie prime, frantumazione, omogeneizzazione, cottura, macinazione del clinker e distribuzione del prodotto finito.

Il complesso è uno dei dieci stabilimenti attivi italiani del Gruppo con capacità produttiva superiore a 1.000.000 di tonnellate annue. La sua attuale produzione ammonta a 4.500 tonnellate giornaliere di clinker. Ipotizzando un ciclo lavorativo di 275 giorni, alla fine dell’anno, uscirebbero dallo stabilimento oltre 1,2 milioni di prodotto. Ogni tonnellata di cemento richiede l’utilizzo di circa 1,5 tonnellate di materie prime.

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Il Cementificio Buzzi Unicem immerso nella campagna Sabina

Fin qui i dati tecnici sulla produzione dello stabilimento descritti da Angelo Nardi nel suo testo: “Guidonia, dal dissesto a città del futuro”, ma come si presenta la Buzzi Unicem S.p.A. a chi entra nel perimetro del complesso industriale oggi? All’arrivo nel piazzale, di fronte all’ingresso del cementificio, ci accoglie un grande parcheggio, dove alti pini mediterranei gettano un’ombra fresca sugli automezzi per il trasporto sfuso del prodotto, in attesa del loro turno per entrare. Passato il cancello centrale, all’interno del complesso, lungo i viali, automobili di servizio e mezzi da trasporto si rincorrono in un via vai frenetico, costeggiando una serie di costruzioni moderne con torri e sili. Dei nastri trasportatori in continuo movimento corrono da un fabbricato all’altro. Attraversiamo tutta l’area di lavoro dirigendoci verso una zona più distaccata, in direzione di grandi capannoni. Qui, imponenti mezzi con pale e ruote dal diametro superiore ai due metri raccolgono la materia prima e la convogliano sui nastri trasportatori.

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La centrale operativa del complesso industriale

Dopo aver visitato il sistema di raccolta del materiale grezzo, torniamo verso la parte centrale dello stabilimento dove, al primo piano di una palazzina, troviamo il cuore nevralgico del cementificio: la sala operativa. Al centro di una grande sala è posizionato un tavolo semicircolare sormontato da diversi monitor. Alcuni tecnici controllano diagrammi, scale numerate con parallelepipedi che si alzano e si abbassano e linee colorate che si rincorrono ondeggianti, sopra a schermi a noi incomprensibili. In un monitor posto in alto è possibile vedere le fiamme all’interno di un grande forno. Di tanto in tanto una voce metallica interrompe le nostre conversazioni per comunicare l’inizio di una fase di lavorazione o per richiedere la presenza di qualche tecnico.

Questa è l’immagine attuale di una moderna azienda, ma il rinnovato cementificio di Guidonia ha ormai una lunga storia industriale e la sua struttura e il metodo di lavorazione sono molto cambiati nel corso dei decenni.

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La torre centrale

Il cementificio Buzzi Unicem occupa un vasto territorio del comune di Guidonia Montecelio ed è attivo dal 1941. Due anni prima, nel 1939, Benito Mussolini, l’allora Capo di Governo, in una cerimonia ufficiale pose la prima pietra dello stabilimento. Era l’anno che precedeva l’intervento dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale; il regime fascista era nel suo massimo splendore e la popolazione vedeva con interesse la nascita del cementificio, un importante polo industriale con una conseguente offerta di posti di lavoro. Anche la città di Guidonia era stata fondata da pochi anni ed era nata all’ombra di Montecelio, un paese arroccato su uno dei Monti Cornicolani, che dava supporto al nuovo polo aeronautico dell’aeroporto Alfredo Barbieri, fiore all’occhiello del regime. La costruzione dello stabilimento fu affidata a una società di Copenaghen, all’avanguardia nel settore cementizio. La linea era dotata di un impianto di frantumazione del calcare, estratto dalla vicina località “Casette”. Il materiale era caricato a mano e trasportato nell’impianto su dei piccoli vagoni spinti, sempre a mano, fino al frantoio. Gli operai dovevano caricare quindici vagoni al giorno ciascuno. L’argilla, altro componente primario nel ciclo di lavorazione del cemento, era anch’essa caricata a mano su piccoli vagoni trainati da muli. La macinazione delle materie prime era eseguita da un mulino e il materiale era cotto in un forno dalla potenzialità di 240 tonnellate per giorno. Queste curiose notizie sono contenute in un piccolo testo redatto da Franco Masato, in occasione del cinquantenario della fabbrica del cemento.

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Una finestra della torre

In una zona del complesso industriale, ancora oggi trovano spazio le vecchie costruzioni che ospitavano il cementificio originario. Queste, ben conservate, rappresentano uno dei maggiori esemplari di archeologia industriale della Sabina. Il nostro accompagnatore, il direttore dello stabilimento Dorino Cornaviera, ci guida in una visita all’interno della vecchia area.

Entriamo passando da un corridoio; in fondo c’è un vecchio portone sormontato da una torre quadrata con molte finestre. Alcuni vetri sono rotti o mancano del tutto. Saliamo per le scale che ci portano al quinto piano; nel nostro percorso passiamo per diversi ambienti, dove troviamo vasche, pozzi d’ispezione, banchi di lavoro e piccoli forni; lunghi tubi, che sembrano enormi serpenti, attraversano diversi locali; alcune scritte ricordano le norme di sicurezza ormai superate dagli anni e dalla modernizzazione del complesso industriale. Ci troviamo in ambienti di lavoro un tempo occupati da operai, in alcuni momenti l’immaginazione ci fa sentire il loro vociare coperto dal rumore delle macchine e dal fruscio dei nastri trasportatori. Da una finestra, uno scorcio del vecchio impianto: un salto nel passato e uno sguardo verso una realtà spettrale e fantastica nello stesso tempo.

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Una sala interna

È abissale la diversità tra l’attuale stabilimento e il passato. Il passaggio dall’analogico al digitale, le accelerazioni tecnologiche e i computer hanno consentito all’industria un enorme salto in avanti. Il vecchio cementificio, una costruzione eretta negli anni 30 dello scorso secolo, vero e proprio gioiello industriale di allora, con il tempo è diventato uno stabilimento obsoleto, sostituito con il nuovo moderno complesso. Le macchine e tutto ciò che era all’interno della vecchia fabbrica è stato, probabilmente, destinati ad altri usi e tutta quest’area dello stabilimento, con la sua imponenza, è ormai una testimonianza del passato, divenuto un grande monumento del lavoro. Secondo stime attendibili, come riportato dal Masato, ogni anno solo in Italia vengono smantellati mediamente 150.000 metri cubi di vecchi edifici industriali e rottamate circa 300.000 tonnellate di macchinari e attrezzature. Naturalmente è inevitabile che la maggior parte di questi edifici obsoleti venga demolita, considerando che a renderlo necessario è la fisiologia stessa dello sviluppo industriale.

Lasciamo la torre del vecchio complesso centrale ed entriamo in un enorme capannone, anche questo in buono stato di conservazione, con grandi arcate in cemento che sostengono una copertura tamponata e coprono una vasta area aperta ai lati; al centro del locale un grande forno fa bella mostra di sé, testimone di un periodo di lavoro non troppo remoto.

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Il cuore del vecchio complesso industriale

Poco distante troviamo un grande deposito per materiali che si sviluppa per più di cento metri in lunghezza e per almeno trenta in altezza. Il soffitto ad arco è sostenuto da una serie di travi in metallo. Sulla destra, attraverso grandi aperture, ci appare una veduta d’insieme del vecchio stabilimento dove il razionalismo del periodo fascista si fonde con le esigenze di una moderna fabbrica di cemento; le torri quadrate, i passaggi diagonali e i tetti semplici e squadrati creano un gioco di geometria essenziale; linee rette s’inseguono e s’intersecano dando luogo a un’immagine futurista. Un paesaggio che è un antico testimone di un salto verso il futuro.

Alla fine della visita apprendiamo con piacere che nelle intenzioni dei proprietari dell’azienda c’è la volontà di rendere il complesso fruibile dal pubblico, magari creando degli spazi per interessi sociali.