Il Colpo di Zurigo, capolavoro di intelligence della Regia Marina

di Gaspare Battistuzzo Cremonini

Da che mondo è mondo – si sa – la guerra non si fa soltanto sul campo di battaglia. C’è un altro, più sfuggente scenario sul quale gli Stati si confrontano ed è quello dello spionaggio, brumosa terra riservata a quello strano taglio di superuomini che sono sempre state le spie, gli agenti segreti.

Quando nel 1915 il Regno d’Italia entrò infine nell’agone bellico della Grande Guerra, dopo non pochi tentennamenti, l’Impero d’Austria, che sino ad allora all’Italia era legato dalla Triplice Alleanza ottocentesca siglata dal ministro Di Robilant, si trovò spiazzato e colto alla sprovvista, allarmato dalla presenza di una delle flotte più potenti del mondo, quella italiana, che aveva le navi in rada a pochi chilometri dalle coste dalmate.

Sebbene entrambi gli schieramenti avessero sin da subito compreso che valeva meglio restarsene in porto piuttosto che manovrare con pesantissime corazzate in uno stretto braccio di mare come l’Adriatico, la macchina da guerra invisibile dello spionaggio non s’era fermata e la Duplice Monarchia era passata velocemente al contrattacco in ‘modalità silenziosa’.

Il 27 settembre del 1915, nel porto di Brindisi è ancorata la corazzata Benedetto Brin. Senza che alcuno sospetti nulla, un rombo assordante e un’esplosione che coinvolge la Santa Barbara squarciano lo scafo e colano a picco un mostro di metallo senza nemmeno che esso possa difendersi, facendo perdere la vita a quasi 400 marinai e 21 ufficiali. Errore umano? Sabotaggio? I giornali si sprecano in congetture, molti provando a scoraggiare tesi che oggi definiremmo ‘complottistiche’.

Eppure, il 2 agosto del 1916, non molto tempo dopo, è la volta della corazzata Leonardo da Vinci, questa volta in rada a Taranto: stesso schema, stesso esito, solo che a questo giro l’agonia del mostro d’acciaio è più lunga ma il bollettino dei caduti è altrettanto allarmante, con 250 marinai inghiottiti nel ventre della nave e 21 ufficiali periti sui ponti, a dirigere le operazioni di evacuazione.

E poi di nuovo un susseguirsi angosciante di avvenimenti adrenalinici: un incendio al porto di Genova; a Livorno esplode il piroscafo Etruria; ad Ancona va in fiamme un hangar di dirigibili della Marina mentre salta in aria anche il dinamitificio del Cengio; e poi un’esplosione alla centrale idroelettrica di Terni ed infine il brillamento di un treno carico di munizioni partito da La Spezia che provoca 260 morti tra militari e civili.

Possibile che siano tutte coincidenze? Sono ‘complottisti’ quelli che vi vedono dietro una mano straniera? L’ammiraglio Paolo Thaon di Revel, capo di Stato Maggiore della Marina, non lascia nulla di intentato: pur non avendo prove di un coinvolgimento dello spionaggio austriaco in questi sabotaggi, organizza una unità, il IV° Reparto detto “I”, che potrebbe chiamarsi Servizio Informazioni della Regia Marina, dando il via al primo nucleo di quelli che diverranno poi dei veri e propri servizi segreti.

L’arresto d’un sabotatore colto sul fatto permette di capire due cose: da un lato che gli Austriaci sono davvero l’anima di questi attentati e dall’altro che gli esecutori sono invece italiani, pescati perlopiù nel sottobosco dell’anarchismo e del malcontento disfattista e ben pagati da Vienna per portare a termine queste mortifere operazioni.

Si viene anche a sapere che le cose sono più complesse di quanto si creda: non è Vienna che manovra direttamente i fili ma vi è una triangolazione che passa dalla Svizzera, allora terreno neutrale e patria d’adozione di tutti i fuorusciti anarchici, di modo che le operazioni sono dirette dal Consolato Austriaco di Zurigo, al cui capo è il diplomatico Rudolf Mayer che però non è affatto un diplomatico ma un capitano della Imperial-Regia Marina Austriaca.


banhofstrasse_zurichjpg

Revel sa che se non si agisce subito i danni che possono essere portati ad un paese che in guerra ci è entrato già male come l’Italia, saranno fatali. L’ammiraglio però sa anche che questa operazione non può svolgersi alla luce del sole, sia perché gli Austriaci devono esserne all’oscuro sia perché è importantissimo non alienarsi la Svizzera, attraverso la quale girano i capitali degli Stati in guerra. Ci vuole un’operazione raffinatissima e qualcuno che sappia il fatto suo.

E’ qui che spunta il nome del barone Pompeo Aloisi. Egli è uomo d’azione e d’intelletto ad un tempo, ha dimestichezza del bel mondo, essendo aiutante di campo onorario del Re, ma anche della Carriera, come amano definirla al Ministero degli Esteri. Ed è tenente di vascello della Marina, così che in qualche maniera all’efficacia dell’operazione s’aggiunga anche il sollievo morale d’una vendetta dell’arma che più di tutte, sin ora , è stata colpita dalle spie austriache.

Come in un vero e proprio film di spionaggio, ad Aloisi vien detto da subito che né la Regia Marina né l’Italia, in caso di disvelamento del colpo, potranno essere tirate in ballo: chi farà l’operazione, la farà da solo e solo sarà lasciato se le cose andranno male. Aloisi capisce che non può essere esclusivamente un’azione militare, qui ci vogliono persone smaliziate fino al limite della delinquenza.

Vengono reclutati vari individui, alcuni militari ed altri civili ma la cosa che rende più fenomenale questo colpo di mano (sarà nella Fiume dannunziana che verrà addirittura istituito un Ufficio Colpi di Mano, ma per quello è ancora troppo presto) è l’arruolamento di due personaggi alquanto dubbi: uno è un ‘profugo’ triestino di nome Remigio Bronzin, ‘specialista’ nella contraffazione di chiavi; l’altro è Natale Papini, che viene prelevato direttamente in carcere dove si trovava per aver svaligiato una banca di Livorno, e che è un vero mago nell’apertura delle casseforti. Dopo una prima ritrosia il Papini accetta, del resto gli vien detto chiaro e tondo: o partecipi o ti mettiamo in prima linea di fuoco al fronte. Partecipa.

Sono i giorni del carnevale del 1917 e Zurigo, che non è toccata dalla guerra, è in festa. Tra la Seidengasse e la Banhofstrasse si trova il palazzo dove ha sede il Consolato Austriaco. Aloisi decide che il carnevale può essere una perfetta e chiassosa copertura per un’operazione così delicata. Il gruppo quindi fa un primo tentativo la notte del Martedì Grasso.

Sono sedici le porte che cadono – metaforicamente, perché in realtà sono aperte con i calchi delle chiavi realizzati dal Bronzin, - una dietro l’altra di fronte al commando, mentre tre ufficiali di Marina sono in strada a vedere che nessuno entri nell’edificio. Tutto sembra andare liscio ma compare una diciassettesima porta, l’ultima prima di arrivare all’ufficio di Mayer. L’agente doppio austriaco, che faceva il gioco degli italiani, l’aveva sempre vista aperta e non se n’era dato pena: niente da fare, si deve rimettere tutto a posto e desistere.

Finalmente Bronzin realizza la copia anche della diciassettesima chiave e nella notte tra il 26 ed il 27 febbraio il commando di agenti segreti ritenta. Di nuovo va tutto liscio ed anche la diciassettesima porta si apre di fronte agli scassinatori che giungono nell’ufficio di Mayer, il Sancta Sanctorum, il cervello di tutte le operazioni che stanno infiammando l’Italia.

Bronzin lascia il passo a Papini, lo specialista di casseforti. Si mettono dei pesanti teloni blu alle finestre così da poter accendere le luci. Sebbene Aloisi abbia stimato in un’ora la durata dell’operazione, Papini è in difficoltà: non ha mai visto prima una scatola di acciaio tanto difficile da aprire. Nulla sembra scalfirla.

Si deve ricorrere all’ultima arma che il gruppo si è portato in missione: la fiamma ossidrica. Dopo lunghi minuti e col sudore che gli cola sulla fronte per il calore della fiamma ad altissima temperatura, tra una bestemmia e l’altra, Papini sfonda la prima armatura della cassaforte.

Immediatamente un fiotto d’aria compressa comincia a sgorgare potente dal pertugio: è gas venefico. Gli Austriaci non sono poi così sprovveduti. In pochi secondi gli uomini sono a terra, tossiscono, lacrimano, non c’è tempo da perdere o non solo non si otterrà nulla ma si morirà sul posto. Vengono velocemente spente le luci, si rimuovono i teloni blu e si spalancano le finestre in attesa che il gas fuoriesca dalla stanza.

Appena l’aria è lievemente più respirabile Papini è di nuovo al lavoro. Con un panno bagnato posizionato sopra naso e bocca, riprende in mano la fiamma ossidrica, la apre alla massima forza e attacca di nuovo le spesse pareti della cassaforte. Ci vogliono quattro ore, intervallate da regolari pause in cui Papini, nemmeno posando la bocca di fuoco, beve sorsate d’acqua per minimizzare l’effetto irritante del gas venefico sulla gola e sulla faringe.

Alla fine lo specialista ce la fa. Non per nulla era il miglior scassinatore di tutta la Toscana. Sfonda l’ultima parete metallica ed apre la cassaforte: al suo interno vengono rinvenuti dei preziosi femminili, una collezione di francobolli rari, oltre 600 Sterline in oro e, soprattutto, un fascicolo di documenti. Al suo interno, i nomi di tutti i sabotatori italiani sul libro paga austriaco, i conti correnti elvetici sui quali si fanno transitare i fondi per pagarli, i prossimi obiettivi in programma tra cui la corazzata Giulio Cesare.

Prima di andarsene col bottino, il gruppo chiude la famosa diciassettesima porta e vi spezza dentro la chiave: il capitano Mayer, l’indomani mattina, dovrà chiamare un fabbro per aprirla e questo darà tempo agli agenti italiani di lasciare la Svizzera indisturbati. Aloisi, da Berna, invia immediatamente un telegramma cifrato al Ministero della Marina. Operazione compiuta con successo.

Inutile dire che la corazzata Giulio Cesare si salvò; che i sabotaggi finirono e che l’Austria perse un braccio nella guerra contro l’Italia, restando ‘scoperta’ nelle sue rade dalmatiche che di lì a poco altri uomini di Thaon di Revel - Costanzo Ciano, Luigi Rizzo e Gabriele d’Annunzio - avrebbero riempito di terrore e sgomento con le loro ardite imprese ai limiti dell’incoscienza.

L’ammiraglio Revel riassunse bene la questione parlando in seguito del capitano Aloisi: Quell’operazione valse più di una battaglia.

E siccome l’italiano è scaltro, furbo, creativo ma non è ladro, nel 1922, a guerra finita e ad ostilità cessate, un inviato del Ministero della Marina incontrò il capitano Rudolf Mayer: si procedette a restituirgli i gioielli della moglie.