Il ridisegno della città: le trasformazioni della struttura urbana dopo l’Unità d’Italia 3
a cura di Eleonora Vicario
Napoli, come tutto il Sud, non ha avuto solo "furti" dall'unificazione d'Italia, come si afferma polemicamente, e questo lavoro di Daniela De Crescenzo ce lo dimostra.
Ecco un terzo capitolo a riguardo:
2.3 Il disegno di nuove centralità urbane: il piano di Risanamento ed Ampliamento
L’episodio più significativo dell’urbanistica napoletana del secondo
Ottocento è senza dubbio il Risanamento dei quartieri bassi. Questi erano
la sezione Porto, Pendino, Mercato e Vicaria, posti prevalentemente in
un’area depressa anche ortograficamente ai piedi dell’antico centro grecoromano della città, area interessata da una falda d’acqua sottostante il
livello del mare in promiscuo contatto con un primitivo sistema cloacale e
con gli stessi pozzi d’acqua potabile. Intorno al 1880 circa 200.000 abitanti
si addensavano in questa autentica palude in una condizione economica,
igienica ed edilizia degradata fino all’estremo.
I fatti nuovi che nella seconda metà dell’Ottocento portarono ad
intervenire in tale area furono essenzialmente due. Il primo di carattere
sociale, perché la condizione dei suddetti quartieri risultavano inconciliabili
con i tempi “nuovi” e col prestigio dell’unità nazionale. Il secondo di
carattere più propriamente urbanistico: i quartieri malsani venivano a
frapporsi tra il centro direzionale cittadino e la stazione delle ferrovie,
costituendo un “intralcio” per il traffico ed il commercio con ripercussioni
sull’intera economia napoletana. E se è vero che sin dal ‘60 i tecnici e
gli amministratori operarono in una duplice direzione, ossia da un lato
si approntarono progetti e dall’altro si svolsero indagini igienico-sociali,
la fusione di queste iniziative si ebbe e trovò pratica applicazione solo di
fronte ad una calamità “naturale”, cioè l’epidemia di colera che nel 1884
ebbe il suo centro proprio nei quartieri bassi.
Il colera a Napoli - Vecchia stampa vittoriana
Il primo concorso riguardante l’area aveva per tema il progetto di una nuova
strada da Toledo alla stazione, che migliorasse in pari tempo le condizioni
dei quartieri Porto, Pendino e Mercato. Fra i progetti concorrenti quello
più apprezzato recava la firma di Errico Alvino. Esso prevedeva una strada
in “rettifilo” che, partendo da via Medina, all’angolo della chiesa della
Pietà dei Turchini, terminava in uno dei due angoli della piazza antistante
la stazione; simmetricamente, sull’altro angolo della piazza si innestava il
prolungamento della strada S. Giovanni a Carbonare. Cosicché, davanti
alla stazione si darebbe realizzato un tipico schema radiale, formato dalle
due strade suddette, dal corso Garibaldi, parallelo alla facciata dell’edificio
ferroviario e da una quarta via, penetrante nel vivo del centro greco-romano.
Il rettifilo, così come era richiesto dal bando, attraversava i tre quartieri
malsani e, senza sbucare a Toledo, strada ritenuta già congestionata dal
traffico, dava accesso ad un centro, quello di via Medina, ricco d’interessi
commerciali, turistici e rappresentativi, nonché vicino al porto e alle
dogane.
Il progetto suddetto, nonostante la sua intenzione esclusivamente viaria in
quanto non contiene alcuna indicazione sulla sorte delle aree da bonificare,
deve considerarsi, per la somiglianza con quello adottato venticinque anni
più tardi, l’idea primitiva ed il punto di riferimento per le successive e più
approfondite soluzioni.
Il 15 gennaio 1885, in base ad un progetto di massima redatto dalla I
Direzione tecnica municipale, a firma dell’ing. Adolfo Giambarba, fu varata
la Legge per il Risanamento della città di Napoli, n. 2892. Questa, tra
l’altro, dichiarava di pubblica utilità tutte le aree necessarie al risanamento
di Napoli e apriva un prestito nazionale con l’emissione di titoli speciali
di rendita per ottenere il capitale effettivo di cento milioni, i cui interessi
sarebbero stati per metà a carico dello Stato e per metà del Comune di
Napoli.
Per quanto concerne i lavori nei quartieri bassi il progetto Giambarba-Bruno
prevedeva la bonifica per colmata, rialzando convenientemente il livello
del suolo, dei quartieri Porto, Pendino e Mercato; nel diradamento della
massa edilizia esistente in queste sezioni; nella costruzione del Rettifilo
dalla stazione fino ad una piazza (che sarà poi quella della Borsa) con
diramazioni verso piazza Medina e il quartiere S. Giuseppe; nell’apertura
di altre strade parallele e trasversali all’arteria principale, a monte e a valle
di essa, atte a formare una vasta lottizzazione per l’insediamento di nuovi
fabbricati.
Lo stesso progetto, relativamente alle zone di espansione, prevedeva,
al fine di ridurre la densità nelle aree centrali e dare sistemazione agli
abitanti sloggiati dalle zone da bonificare, la costruzione dei nuovi
quartieri Ottocalli, Ponti Rossi, Sant’Efremo vecchio, Miradois, Materdei,
Vomero, Arenella, Belvedere, prolungamento Principe Amedeo, Posillipo,
Arenaccia, estendendo, grazie alla legge del 25 luglio 1885, a quei rioni i
vantaggi concessi alle opere delle aree centrali da bonificare.
Le opere prescritte dal Piano esecutivo, approvato dai decreti del 7
gennaio e 22 luglio 1886, all’atto dell’appalto consistevano: “a) nell’apertura
di un’arteria principale, larga 27 metri, che partendo con due rami distinti, da piazza
Municipio e via S. Giuseppe, s’incontra nella grandiosa piazza di Porto, ripiglia il suo
corso in rettilineo per intersecare, sulla via Duomo, una piazza ottagonale, e da ultimo,
attraversando sempre in linea retta l’altra parte della Napoli vecchia, sbocca nella
piazza della Stazione allargata e sistemata; donde con minore larghezza prosegue fino
al Reclusorio, in prolungamento dell’attuale corso Garibaldi (siffatta arteria, con le sue
traverse e diramazioni secondarie, squarcia e distrugge la parte maggiore e malsana dei
quartieri bassi); b) nella edificazione sulle aree di risulta e su’ terreni alla periferia, per
circa mq. 375.000; c) nella sistemazione stradale per circa mq. 419.000 e colmate per
circa mq. 180.000; d) nella edificazione delle quattro parrocchie che avrebbero dovuto
essere demolite
”
5
.
Tutti i limiti dell’impostazione urbanistica si riflettono puntualmente
nel linguaggio adottato nella realizzazione delle opere, cioè negli schemi a
scacchiera, nella rigidità degli svincoli di traffico, nell’edilizia pseudo
monumentale, capace di nascondere in molti punti l’insoluto problema
delle traverse normali al Rettifilo.
In una pubblicazione dell’epoca il Rettifilo viene così descritto: “Il corso
è già fiancheggiato di alcuni palazzi signorili che costituiscono in sostanza quanto di
meglio ha prodotto l’architettura moderna a Napoli; e nella sua metà si apre ad una
non vasta ma signorile piazza, la piazza Depretis, dove sorgono degli edifici altri
decorati di bugne, di colonne, di archi, di cariatidi e di terrazzini. Questi edifici hanno
aspetto robusto. Sono quattro (dovevano essere sei); e la piazza che compongono è
quasi circolare. L’architetto si sforzò di unire in bel modo la questione finanziaria con
l’estetica; e la conciliazione è ragionevole più di quello che sia nella fabbricazione della
nuova piazza Garibaldi. Insomma gli edifici della piazza Depretis si danno come tipo
del genere di costruzioni artistiche, cui l’imponente lavorio del Risanamento di Napoli
ha dato luogo
”.
dottoranda DANIELA DE CRESCENZO tutor prof. arch. ANTONELLA DI LUGGO
IL DISEGNO DI PROGETTO A NAPOLI DAL 1860 AL 1920 - GLI AUTORI, LE OPERE E LE TECNICHE DI RAPPRESENTAZIONE pg 39-40
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II