Il terremoto di Messina e Reggio Calabria - Due grandi città dilaniate e cancellate in 37 secondi

Erano le cinque di mattina di un lunedì dell’inverno del 1908. Messina si stava svegliando. Qualcuno, per lo più anziano e ancora insonnolito, si avviava verso la cucina per preparare il caffè. Fuori era ancora notte, lontano, verso Est, un tenue bagliore annunciava l’inizio di un nuovo giorno. In alcune abitazioni le porte si aprivano per lasciare uscire i pescatori che andavano verso le loro barche pronte per il mare. I pochi lavoratori mattinieri che non erano impegnati nella pesca camminavano sulle strade per raggiungere il proprio posto di lavoro. I più, uomini, donne e bambini, dormivano ancora. Qualcuno, forse anche stanco per le ore passate nei festeggiamenti natalizi, si crogiolava nel letto godendo di quegli ultimi minuti che regala il dormiveglia precedente il risveglio. La notte di Natale era passata da soli quattro giorni.

Stessa cosa avveniva a Reggio Calabria, dall’altro lato dello Stretto distante solo tre chilometri. Anche lì i vetri delle finestre lasciavano passare le prime lame di luce che tagliavano il buio che precede l’alba con le lampade che si accendevano alternate in un rituale costante. Erano gli occhi della città che si aprivano verso il nuovo giorno. In quella mattina invernale i mostri di Scilla e Cariddi vegliavano sotto le acque calme dello Stretto.


Fig 1 Messina dopo il terremoto del 1908jpg

Preceduto da un profondo boato che sembrava provenire dal centro della terra, alle 05:20:27 del 28 Dicembre del 1908, un terribile terremoto sconvolse le due città e i centri limitrofi per 37 lunghissimi secondi. Il sisma colpì la popolazione impreparata ad un cataclisma del genere. I muri delle case si sgretolarono inghiottendo tutti e tutto, nelle strade e nelle piazze si aprirono profonde crepe. I tubi dove scorreva il gas si frantumarono e le esplosioni e gli incendi si propagarono numerosi tra le macerie. Le cronache raccontarono in seguito che il terrificante sisma, di magnitudo XI della scala Mercalli, (il massimo della scala graduata arriva a XII), aveva raso al suolo le due città. I pochi superstiti che si erano salvati da quella immane distruzione corsero verso il mare per cercare la salvezza, lontano dalle case, ma lì, per ironia della sorte, furono investiti da un maremoto con onde alte fino a 10-12 metri. I frangenti, secondo alcune testimonianze dell’epoca, investirono le città distruggendo le poche case rimaste in piedi vicino alla spiaggia e, nel ritirarsi in mare trascinarono barche, feriti e cadaveri. Anche chi si era salvato ed era uscito incolume dal terremoto fu trascinato al largo dove affogò.

Metà della popolazione di Messina e un terzo di quella di Regio Calabria perse la vita. Secondo le stime di allora a Messina, che contava 140.000 abitanti, morirono 80.000 persone. A Reggio Calabria, che ne contava 45.000, ne morirono 15.000. Secondo altre stime si raggiunse la cifra di 120.000 vittime. Il terremoto di Messina e di Reggio Calabria è stata la più grave catastrofe naturale avvenuta in Europa a memoria d’uomo per numero di vittime.

Stamani alle 5:21 negli strumenti dell'Osservatorio è incominciata una impressionante, straordinaria registrazione: “Le ampiezze dei tracciati sono state così grandi che non sono entrate nei cilindri: misurano oltre 40 centimetri. Da qualche parte sta succedendo qualcosa di grave”.1


Per la mia professione di giornalista sono stato testimone del terremoto dell’Irpinia del 1980. In quel drammatico sisma persero la vita circa 3.000 persone tra uomini donne e bambini. Ho assistito a momenti drammatici che ancora oggi, con sofferenza, porto dentro di me. Nonostante questo non riesco a immaginare le distruzioni, il dolore e i lutti che possa aver generato un cataclisma della portata del terremoto di Messina.

Il papà del futuro premio Nobel per la letteratura, Salvatore Quasimodo, in quanto capostazione, fu mandato, tre giorni dopo, a dirigere la ricostruzione del traffico ferroviario di Messina. Il piccolo Salvatore, che allora aveva sette anni, visse per alcuni mesi su un vagone ferroviario. Una volta adulto rievocò quegli avvenimenti con una poesia.

Dove sull’acque viola

era Messina, tra fili spezzati

e macerie tu vai lungo i binari

e scambi col tuo berretto di gallo

isolano. Il terremoto ribolle

da due giorni, è dicembre d’uragani

e mare avvelenato.”2


Vuoi per la poca e incerta organizzazione - si era nei primi anni del secolo scorso - non c’erano le edizioni speciali dei telegiornali, la radio era agli albori della sua storia. Non c’era la Protezione Civile e non esistevano telefonini, al massimo si poteva contare sul telegrafo, ma questo viaggiava sul filo e i pali che lo reggevano erano stati abbattuti dal terremoto. I soccorsi arrivarono solo nel pomeriggio.

Tra le prime squadre di soccorso che giunsero a Reggio vi fu quella proveniente da Cosenza, guidata dall’esponente socialista Pietro Mancini (padre di Giacomo) che dichiarò:

«Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu.»


Come in una gara di solidarietà, i primi soccorsi ad arrivare per mare, la mattina del 29 dicembre, furono i russi


Fig 2 Marinai russi trasportano i feriti nei punti di raccoltajpg


con una squadra navale che era alla fonda nel porto di Augusta. Poi arrivarono le navi inglesi. Le imbarcazioni italiane giunsero all’alba del 30 dicembre. Le corazzate “Regina Margherita”, “Regina Elena”, “Vittorio Emanuele” e la corazzata “Napoli”gettarono l’ancora nello Stretto. Al Re, Vittorio Emanuele III, e alla Regina Elena di Savoia, a bordo della loro nave, si presentò il drammatico spettacolo di una città rasa al suolo, illuminata, nella poca luce dell’alba, dalle fiamme provocate dagli incendi e dalle esplosioni prodotte dalle fughe di gas.

Una lancia portò a terra la coppia Reale che sbarcò sulla banchina nel centro della città. Le cronache del tempo ci raccontano di una Regina con le lacrime agli occhi davanti a tanta devastazione e di un Re attonito che cercava di organizzare le truppe e di coordinare gli aiuti.

Fig 3 La Regina Elena soccorre i feritijpg


E’ qui, in questa città totalmente distrutta, che la Regina Elena di Montenegro compì una grande opera caritatevole. La Monarca, indossando vesti da infermiera, si prodigò nel confortare i feriti, nel disinfettare e medicare le ferite e nell’aiutare chi ne aveva bisogno, arrivando anche nelle zone più disastrate della città, dove c’era il pericolo di un crollo delle pareti malferme. Coordinò i soccorsi indicando le zone d’intervento ai soldati e ai soccorritori. Anche se alcune cronache affermano che la Regina, per espresso ordine del Re, non scese mai dalla nave che l’aveva trasportata a Messina per il pericolo dei crolli continui che affliggevano la città; qualsiasi sia la verità, a bordo della squadra navale allestì degli ospedali e accolse tutti i feriti che venivano portati sui battelli. Fece inviare delle navi a Napoli e nelle altre città marine del Sud con a bordo i più gravi. Arrivò persino a gestire un gruppo di sarte che confezionarono gli abiti per chi era rimasto solo con quello che aveva indosso. Grazie alla sua amicizia con lo Zar Nicola e alla sua conoscenza della lingua, contattò le navi russe presenti nel Mediterraneo che fecero rotta sullo Stretto di Messina. Nelle coste della Sicilia e della Calabria giunsero anche navi francesi, tedesche, spagnole e greche.

Fig 4 Ritratto della Regina Elena di Montenegrojpg


A ricordo dell’opera caritatevole svolta dalla Regina nel terremoto di Messina del 1908, cinquantadue anni dopo, nella città dello Stretto, simbolo del drammatico sisma, fu posta una statua che ritrae S.A. la Regina Elena di Montenegro, alta, nella sua fierezza, vestita di un semplice abito da infermiera. La deposizione di tale opera a perenne ricordo di una Regina della Monarchia italiana in piena era repubblicana, è il segno dell’affettuoso ricordo nutrito dai cittadini italiani verso la Nobile Signora della Casa Reale di Savoia.

Fig 5 Statua della regina Elena a Messinajpg

1Nota dell’osservatorio Ximeniano di Firenze

2Poesia “al padre”, di Salvatore Quasimodo