La concessione di Tianjin. Un quartiere italiano nel cuore della Cina

Di Giorgio Moscateli


Sul finire del 1800, le due guerre dell’oppio (1839 – 1856), con il conseguente aumento della presenza occidentale nel Paese, e la guerra sino – giapponese (1894), determinarono uno stato di crisi politica ed economica nella Cina. Il malumore della popolazione contro gli stranieri, il disagio della dinastia Quing, consapevole ormai della sua inadeguatezza nei confronti dell’Occidente, spinse la popolazione verso la ribellione della setta dei “pugni di giustizia e armonia” conosciuta anche come la rivolta dei “Boxer”.

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Guerrieri Boxer

I disordini iniziarono nel 1898 nello Shandong, una provincia cinese orientale che si affaccia sul Mar Giallo, ma si diffuse in poco tempo in tutto il Nord. I rivoltosi, giovani contadini ostili verso gli stranieri, in particolare verso i missionari, arrivarono a Pechino dove, con l’affissione di manifesti, annunciarono il massacro di tutti gli stranieri. La critica situazione determinò un allarme generale tra gli occidentali che risiedevano in Cina. Gli ambasciatori mandarono richieste di aiuto ai rispettivi Paesi. In patria, nei parlamenti dei vari Stati cominciò a prendere corpo la possibilità di un intervento militare, i collegamenti con le varie cancellerie si fecero più frequenti, ma il tempo passava.

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Partenza del contingente italiano per la Cina

L’uccisione a Pechino del Ministro tedesco, Barone Clemens August Freiherr Von Ketteler e l’assedio di 55 giorni posto al quartiere delle legazioni straniere a Pechino, pose fine agli indugi. Fu formato un corpo di spedizione internazionale capitanato dal Maresciallo tedesco Waldersee. Il contingente era composto di 436 marinai: 75 russi, 75 inglesi, 75 francesi, 60 statunitensi, 50 tedeschi, 41 italiani, 30 giapponesi e 30 austriaci. La forza multinazionale sbarcò il 1° giugno a Dogu, dopo una battaglia sulla costa che ha visto vincitori i reparti occidentali, il contingente affrontò gli agguerriti Boxer a Tianjin dove gli orrori della guerra, violenze, distruzioni, fucilazioni e decapitazioni, erano all’ordine del giorno. Non mancarono episodi di eroismo dei nostri soldati, come il Sottotenente di Vascello Ermanno Carlotto, Medaglia d’Oro al Valor Militare alla memoria. L’ufficiale era a bordo dell’Incrociatore corazzato “Elba” in servizio nel mar della Cina quando scoppiò la rivolta dei Boxer. Carlotto, al comando di venti fucilieri di marina, fu impegnato nella difesa di Tianjin, dove venne colpito e, a causa delle gravi ferite riportate, perse la vita.

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Sottotenente Ermanno Carlotto, Medaglia d'Oro al Valor Militare

Nella motivazione per l’importante onorificenza si legge:

Sprezzando i pericoli si espose in ogni circostanza e cadde da prode mentre avanzavasi indifeso per scoprire i punti ove dirigere il fuoco del suo distaccamento. Tien-Tsin, 19 giugno 1900”.

Oltre al Sottotenente Carlotto, in quella prima parte delle ostilità, altri nove soldati italiani persero la vita. Quei drammatici avvenimenti spinsero i governanti europei a inviare un secondo contingente multinazionale che comprendeva anche i nostri Fanti di Marina. La nuova spedizione arrivò sulle coste della Cina, a Dogu. Il Corpo di Spedizione italiano era composto di un battaglione di Fanteria, un battaglione di Bersaglieri, una batteria di mitragliatrici, un distaccamento del Genio militare, un ospedaletto da campo e un drappello di Carabinieri Reali. Il corpo di spedizione italiana contava in tutto di 83 ufficiali, 1882 fra sottufficiali e truppa e 178 quadrupedi. Gli uomini furono reclutati su base volontaria con una maggiorazione della paga di 40 centesimi per la truppa, 2 lire per i sottufficiali e 8 lire per gli ufficiali.

Il contingente internazionale ebbe ragione sui rivoltosi e la guerra contro i Boxer fu vinta. Alla fine del breve conflitto, in seguito agli accordi di pace, l’Impero Celeste garantì al Regno d’Italia, come agli altri Stati dell’alleanza, una concessione commerciale a Tienjin, sul fiume Hai-ho.

La concessione italiana era vicina al centro della città, situata in un’ansa del corso d’acqua e misurava poco più di un chilometro quadrato, ma era in una posizione ottimale. I nostri soldati presero possesso della legazione il 7 Giugno del 1902. In quella data, quello che era un quartiere di una città cinese alle porte della capitale, passò a tutti gli effetti sotto il controllo di Roma. Il Governo italiano diede il via ai lavori di consolidamento urbanistico già dall’anno seguente, con costruzioni che ricordassero l’architettura italiana di quel periodo, nacquero così dei villini liberty, ampie strade e viali alberati. La riva del fiume fu chiamata Banchina d’Italia, le strade e le piazze ebbero i nomi della Famiglia Reale: Piazza Regina Elena, Via Vittorio Emanuele III e nomi di città italiane, Via Roma, Via Trento, Via Trieste. Fu istituita una linea tranviaria che attraversava il quartiere. Fu aperto al pubblico il giardino “Re Umberto” per le passeggiate e un mercato coperto in vetro e metallo, anche questo alla moda in Italia in quel periodo. Prese forma pian piano una piccola città di stile italiano, all’interno di un più grande centro abitato d’impronta cinese. Nel 1919 nacque il primo istituto di credito italiano: La Banca Italo – Cinese, con filiali anche a Pechino, Hankou e Shanghai

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Il monumento commemorativo della Prima guerra mondiale a Tienjin

Nel 1925, per volere di Benito Mussolini, il Comando Militare Italiano inviò, a difesa dell’enclave del nostro Paese in Oriente, tre compagnie militari: la “San Giorgio”, la “San Marco” e la “Libia”, ospitate nella caserma Savoia e nella caserma Carlotto. In quel periodo la legazione italiana acquisì fama internazionale e molti facoltosi cinesi ne chiesero la residenza. Nel 1932 il contingente italiano fu ulteriormente rafforzato: alle navi “Caboto”, “Carlotto” e “Marco Polo”, Già alla fonda nella concessione, andarono ad aggiungersi gli incrociatori “Libia” e “San Giorgio” oltre alla cannoniera “Lepanto” e al cacciatorpediniere “Espero”.

Nel 1940, durante il secondo conflitto mondiale i giapponesi, una volta conquistato il suolo della Cina, nel corso di due anni, di fatto, smembrarono le legazioni straniere dal territorio di Tienjin lasciando la zona della legazione italiana con una certa tranquillità per gli accordi della Triplice Alleanza con Germania e Giappone. Dopo l’8 settembre, nonostante un tentativo di resistenza da parte delle poche truppe italiane, il quartiere fu invaso dai soldati nipponici che deportano i nostri connazionali nei campi di concentramento, decretando la fine della concessione italiana in Oriente durata più di quarant’anni.

Il quartiere italiano dell’odierna Tienjing, chiamato ora piccola Italia, ha mantenuto intatto il suo stile. Tra i moderni grattacieli della Repubblica Popolare Cinese, i dragoni, il naturale e l’innaturale, gli occhi a mandorla di quel popolo così lontano, c’è quest’angolo del nostro Paese. Tra villini Liberty, Piazza Regina Elena con la statua alla Vittoria Alata e Via Vittorio Emanuele III, s’incontrano spesso turisti cinesi in visita alla piccola Italia, magari per assaggiare i piatti della nostra cucina nazionale, per scattare fotografie all’ombra della caserma Carlotto o sulla banchina Italia guardando lo scorrere delle acque del fiume Hai-Ho.

BIBLIOGRAFIA

Rampazzo 2012: L. Rampazzo, Un pizzico d’Italia nel cuore della Cina: la concessione di Tianjin,Tesi di laurea, Corso di Laurea magistrale in Lingue e istituzioni economiche e giuridiche dell’Asia e dell’Africa mediterranea. pp. 1.

Andriani, Paoletti 2002: F.Adriani, C.Paoletti, Archivi militari italiani, Ufficio Storico della Marina Militare. pp. 2.