LA FAMIGLIA REALE DI SAVOIA – Parte prima (Vittorio Emanuele II ed Umberto I)

di Michele D'Ambrosio


La Famiglia Reale di Savoia affonda le sue radici1 all’inizio del secondo millennio2; Umberto I Biancamano3 viene identificato come il Capostipite della Dinastia, fu lui, infatti, il primo personaggio di Casa Savoia ad essere investito da un titolo nobiliare come Conte di Moriana4. La vicenda che vide i suoi natali con Umberto I Biancamano (o “dalle mani bianche”) sarà destinata a durare per circa mille anni, sino al 1946, quando i Savoia smetteranno ufficialmente di Regnare5. La Storia del Casato è ricca di vicende ed avvenimenti che la porteranno, a metà Ottocento, a divenire l’unica Dinastia all’altezza di unificare e redimere l’Italia6 dopo quattordici secoli di frammentazione politica7.

In questo scritto si vuole approfondire la figura dei primi due Sovrani d’Italia, ma, per fare questo, non possiamo esimerci dal prendere in considerazione le figure dei predecessori più prossimi. A partire da Carlo Alberto di Savoia (1798 – 1849), i Sovrani italiani appartengono tutti al Ramo dinastico dei Savoia – Carignano, ex ramo cadetto di Casa Savoia che divenne ramo principale alla morte di Carlo Felice8. Con Carlo Alberto di Savoia, Capostipite dei Carignano sul Trono e nipote di Carlo Felice, si aprirà una fase nuova per la Monarchia sabauda. Fu lui, infatti, ad avviare quel processo liberale che portò il Regno di Sardegna a passare da un regime assoluto ad un regime costituzionale e parlamentare con la promulgazione di uno Statuto: lo Statuto Albertino.

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Carlo Alberto nacque nel 1798 a Torino9 da Carlo Emanuele, Principe di Carignano, e Maria Cristina Albertina di Sassonia - Curlandia. Entrambi i genitori, di ideale filo rivoluzionario, durante il periodo dell’esilio sardo della Famiglia Reale10, preferirono rimanere nella Torino rivoluzionaria. Nonostante abbiano sposato la causa francese, però, vennero fatti trasferire a Parigi dalle autorità repubblicane in quanto membri della Casa Reale. I Carignano faranno ritorno a Torino soltanto dopo il Congresso di Vienna del 1815 e la conseguente restaurazione dei troni legittimi11. A Torino furono accolti in clima di pace dal Re di Sardegna, Vittorio Emanuele I, che gli concesse di abitare a Palazzo Carignano nonostante i trascorsi rivoluzionari12. Carlo Alberto sposò Maria Teresa d’Asburgo Lorena il 30 settembre 1817 e con essa ebbe due figli: Vittorio Emanuele (1820), futuro Re d’Italia, e Ferdinando di Savoia - Genova13(1822).

In seguito all’abdicazione di Vittorio Emanuele I, Carlo Alberto ricoprì la funzione di Reggente in rappresentanza di Carlo Felice14, ritiratosi a Modena, lontano da Torino. Durante la sua reggenza, Carlo Alberto si trovò, costretto dai tumulti popolari dati dai moti del 1821, a concedere la Costituzione di Cadice anche al Regno di Sardegna15, seppur con riserva dell’approvazione da parte di Re Carlo Felice16. Il periodo della reggenza albertina terminò, per volere di Re Carlo Felice, nel 182117.

Nel decennio intercorso tra la fine della reggenza e l’ascesa al Trono sardo, Carlo Alberto fu accusato dall’ex Sovrano, Vittorio Emanuele I, e dal Sovrano, Carlo Felice, di collaborazionismo con i rivoluzionari francesi18, questa accusa portò il futuro Re di Sardegna a cadere in una forte depressione e a ritrattare, anche se solo formalmente, i suoi ideali liberali19.

Alla morte di Carlo Felice20, il 27 aprile 1831, Carlo Alberto divenne ufficialmente Re di Sardegna dopo aver baciato la mano e chiuso gli occhi allo zio appena morto. Durante il Regno di Carlo Alberto (1831 – 1849) numerose furono le riforme messe in atto, tra le più importanti si ricordano la fusione perfetta21 del 1847 e la promulgazione dello Statuto Albertino nel 184822. Lo Statuto, carta costituzionale del Regno sardo prima e del Regno d’Italia poi, fu definita da Carlo Alberto come “legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda”23. Il popolo, riconoscente, dedicò, inoltre, a Carlo Alberto S’Hymnu Sardu Nationale, che venne adottato come inno ufficiale del Regno di Sardegna24, la Marcia Reale d’Ordinanza25, e l’Inno al Re.

Carlo Alberto fu protagonista dell’inizio della Prima Guerra d’Indipendenza italiana, fino alla Battaglia di Novara26. In seguito alla sconfitta subita a Novara, Carlo Alberto fu costretto ad abdicare27 in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Vittorio Emanuele II, divenuto Re si Sardegna, con l’armistizio di Vignale28 riuscì ad ottenere condizioni di pace decisamente più vantaggiose di quelle proposte al padre29. Con Vittorio Emanuele II, la storia del futuro Regno d’Italia viene ufficialmente legata, in maniera indissolubile, a quella del Regno di Sardegna; fu lui che, alla testa del Paese, riuscì, grazie anche all’abile diplomazia del Primo Ministro Camillo Benso di Cavour30 ed al sostegno militare del Generale Garibaldi31, ad unificare il Paese assumendo per sé e per i suoi reali successori il titolo di Re d’Italia il 17 marzo 186132. A Vittorio Emanuele II va riconosciuto, tra l’altro, il grande merito di non aver revocato lo Statuto e l’assetto costituzionale del Regno di Sardegna, anche in momenti estremamente difficili. Questa volontà ferrea, durante le trattative per l’armistizio di Vignale, gli diede la fama del Re Galantuomo33. Sotto il Regno di Vittorio Emanuele II, il Regno di Sardegna vide trasformazioni epocali, l’espansione ottenuta e la realizzazione dell’unificazione nazionale con il conseguente spostamento della Capitale del Regno da Torino a Firenze prima34 e da Firenze a Roma35 poi, ne saranno prove incontrovertibili che consacreranno il Sovrano a Padre della Patria. Il primo Re d’Italia morirà il 9 gennaio 1878 a Roma e sarà sepolto, per volere del figlio36, presso il Pantheon, dove tutt’oggi riposa37. I funerali di Vittorio Emanuele II si ricordano come funerali con enorme partecipazione di popolo devoto alla Casa ed alla causa risorgimentale; molti autori dedicarono i loro versi a questo evento, tra i principali ricordiamo Giovanni Pascoli ed Edmondo De Amicis.

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Alla morte di Vittorio Emanuele II salì al trono il figlio Umberto I, fino ad allora Principe di Piemonte38. Umberto I nacque a Torino il 14 marzo 1844 da Vittorio Emanuele II e dalla moglie Maria Adelaide d’Asburgo – Lorena. Già nel 1858 venne avviato alla carriera militare e prese parte alla Seconda Guerra di indipendenza, nel 1863 ottenne il grado di Tenente Generale. La sua giovinezza lo vide protagonista di numerosi viaggi tra le corti europee e del mondo; nel 1866 Umberto conquistò la medaglia d’oro al valor militare per essere stato uno dei pochi generali a non aver visto capitolare la propria divisione durante lo scontro di Villafranca. Il Principe Umberto sposerà il 22 aprile 1868 la cugina Margherita di Savoia, destinata a divenire prima Regina d’Italia (la moglie di Vittorio Emanuele II non assunse mai questo titolo in quanto morì nel 1855, prima della proclamazione del Regno d’Italia). Dal Matrimonio tra Umberto I e la consorte nascerà un solo figlio, l’erede al trono, Vittorio Emanuele.

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Con Umberto I si aprì una stagione di riforme senza precedenti per il neonato Regno d’Italia che andrà a completare le riforme già avviate sotto il Regno del suo Augusto Genitore. Lo spirito innovatore del nuovo Sovrano lo si nota già nel suo numerale, non Umberto IV39, ma Umberto I, in quanto Re d’Italia e non più solo di Sardegna. Sotto il Regno di Umberto, tra le più importanti riforme troviamo l’estensione del suffragio universale con la legge 999 (detta legge Zanardelli) del 22 gennaio 188240 e la prima legge circa la sanità pubblica, legge 5849 del 22 dicembre 1888 (conosciuta come legge Crispi – Pagliarini). A questi importanti provvedimenti non possiamo non aggiungere l’amnistia generale del 187841 con cui il Sovrano concede la grazia a un vasto numero di persone e la conversione della pena di morte in lavori forzati a vita42. L’amnistia generale non fu altro che un primo passo verso l’abolizione ufficiale della pena di morte che avverrà ufficialmente nel 1889 grazie all’introduzione del codice Zanardelli.

Il Regno di Umberto I vide l’Italia protagonista delle prime vittorie coloniali, tuttavia le imprese coloniali del XIX secolo non furono significative e furono caratterizzate da enormi sconfitte43, se paragonate a quelle di altre Nazioni contemporanee come la Francia e l’Inghilterra o a quelle del secolo successivo44.

In territorio nazionale il Regno umbertino fu caratterizzato da forti tensioni sociali che portarono il Sovrano a firmare provvedimenti come lo stato d’assedio per ripristinare l’ordine. Il carattere deciso e, a tratti, impopolare lo porteranno ad essere protagonista di due attentati falliti e di uno, il terzo, che gli procurò la morte. Il primo attentato alla vita del Sovrano avvenne durante una visita a Napoli nei primi mesi di regno, il 17 novembre 1878, a questo evento assistette anche il Principe di Napoli, futuro Re Vittorio Emanuele III, il quale ne rimase molto colpito e segnato. L’attentatore di Napoli era un giovane lucano, Giovanni Passannante, anarchico che al grido “Viva Orsini, viva la Repubblica universale” provò ad accoltellare il Sovrano mentre passava in carrozza tra la folla. In segno di devozione e fedeltà alla Casa Reale e come presa di distanza dal compaesano, il paese di origine di Passannante mutò il suo nome da Salvia a Savoia di Lucania, toponimo tutt’ora in vigore. Passannante verrà condannato a morte, ma la grazia ricevuta dal Re permise la conversione della pena in ergastolo. Un secondo tentativo venne messo in atto nel 1897 da Pietro Acciarito a Roma, questo tentativo non ebbe conseguenze per il Sovrano in quanto, accortosi prima di quanto stava accadendo, riuscì ad evitare il colpo di lama. Acciarito verrà condannato all’ergastolo. Questi due attentati portarono a sospettare che vi fosse una congiura in atto contro la Monarchia e fu pretesto per l’arresto di diversi esponenti socialisti, repubblicani ed anarchici. Il 29 luglio 1900, presso Monza, l’anarchico Gaetano Bresci colpì il Sovrano con tre colpi di Revolver causandone la morte. Il Sovrano si trovava a Monza per presenziare a degli eventi sportivi, il ritorno verso villa reale, alle ore 21.30 di quella sera, lo vide vittima dell’attentato a bordo della sua carrozza. Questo attentato venne organizzato in risposta ai duri provvedimenti presi per sedare le rivolte di Milano scoppiate tra il 6 ed il 9 di maggio del 1898. In quell’occasione, il Generale Bava Beccaris ordinò di sparare sui rivoltosi con i cannoni causando centinaia di morti. Umberto I premiò il generale con la Gran Croce all’Ordine Militare di Savoia, questo atto gli costò la vita.

Umberto I passò alla storia come Re Buono45, questo aggettivo venne guadagnato dal Sovrano in seguito alle sue numerose visite tra i più bisognosi, la più celebre quella fatta a Napoli durante l’epidemia di colera del 188446.


1 Le informazioni sulle origini del Casato sono estremamente incerte e sconosciute, esse si perdono quasi nel mistero e nella leggenda circa gli antenati di Umberto I Biancamano.

2 La data precisa non è certa, tra le date più accreditate spicca il 1003.

3 L’aggettivo Biancamano, o dalle mani bianche (fr. aux Blanches Mains), non risulta essere coevo alla vita di Umberto, bensì viene ritrovato per la prima volta nell’obituario dell’Abazia di Altacomba, in Francia, nel 1342.

4 Contea nata nel 1303 per volontà di Rodolfo III di Borgogna il quale volle riconoscere a Umberto Biancamano la fedeltà all’imperatore dopo la morte di Corrado II il Salico. Il territorio, in origine, occupava vaste zone della Savoia francese e dell’Alta Savoia, ma, nel corso del tempo, venne esteso anche al di qua delle Alpi in territorio piemontese raggiungendo la zona di Pinerolo ed includendo anche le Contee d’Aosta, di Tarantasia e i territori del Chiablese. La Contea, con capitale Chambery, smise di essere tale nel 1416 quando i Conti di Savoia vennero elevati al titolo di Duchi di Savoia trasformando, di fatto, la Contea di Savoia in Ducato di Savoia.

5 Umberto II di Savoia, quarto Re d’Italia, il 13 giugno 1946 partì dall’Italia senza abdicare, quindi da Sovrano.

6 Fondamentale fu la promulgazione dello Statuto Albertino nel 1848 per volontà di Sua Maestà Sarda Carlo Alberto di Savoia e mai ritirato nemmeno dal figlio Vittorio Emanuele II, futuro primo Re d’Italia.

7 La Penisola italiana, dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), ritrovò la sua unità politica solo col Risorgimento con Vittorio Emanuele II.

8 Carlo Felice nacque nel 1765 a Torino, dove morì nel 1831. In seguito alla sua morte senza eredi, il titolo di Re di Sardegna e Capo della Real Casa passò ai Principi di Carignano, ramo cadetto più prossimo, in linea di successione, al ramo principale del Casato. Con Carlo Felice morì anche l’ultimo Sovrano assoluto di Casa Savoia, a tal proposito, durante le Esequie, il Vescovo celebrante, S.E.R. Claude François de Thiollaz (Vescovo di Annecy), pronunciò la famosa frase: «Messieurs, nous enterrons en ce jour la monarchie.» (Signori, noi sotterriamo oggi la Monarchia). Il motivo di questa frase sarebbe da ricercare nelle note idée liberali di Carlo Alberto, nuovo Re di Sardegna.

9 Contrariamente a quanto si possa credere, Carlo Alberto non nacque nella Capitale del Regno sabaudo. La Capitale amministrativa del Regno, infatti, tra il 1796 e 1815 venne trasferita a Cagliari, già capitale politica del Regno di Sardegna dal 1720, dove si trasferì anche la Corte sabauda dopo l’invasione francese e l’instaurazione della Repubblica piemontese. Torino diventò capitale dell’intero Regno solo dopo la fusione perfetta, avvenuta nel 1847, tra il Regno di Sardegna e gli Stati della terraferma facenti capo a Sua Maestà Sarda. Dopo la fusione, Cagliari rimase capitale del Regno Sardo solo nella toponomastica cartografica.

10 Il Re di Sardegna, Vittorio Emanuele I

11 Dopo la caduta di Napoleone, il nuovo Sovrano di Francia accolse i Carignano senza ostilità, ma chiese a Carlo Alberto di rinunciare a tutti i titoli che gli erano stati concessi da Napoleone Bonaparte.

12 Essendo ormai chiaro il fatto che Carlo Alberto fosse primo in linea di successione al Trono dopo lo zio Carlo Felice (anche se Francesco IV d’Austria – Este cercò di convincere in ogni modo il Sovrano ad abolire la Legge Salica per fare in modo che sua moglie Maria Beatrice, figlia di Vittorio Emanuele I, potesse salire al Trono come Regina di Sardegna), l’educazione del futuro Re venne affidata dal Sovrano a due precettori, Filippo Grimaldi del Poggetto prima e Policarpo Cacherano d’Osasco poi, per fare in modo che venissero corretti i suoi ideali liberali e rivoluzionari inculcatigli dai genitori.

13 Il secondogenito di Carlo Alberto e Maria Teresa è il Capostipite del ramo cadetto dei Savoia – Genova, ramo estinto dal nel 1996 con la scomparsa del V Duca di Genova, Eugenio di Savoia – Genova, del quale è ancora in vita la figlia S.A.R. la Principessa Maria Isabella (il ramo si considera estinto con la morte dell’ultimo Duca in quanto la Principessa non può trasmettere il titolo)

14 Fratello di Vittorio Emanuele I, Re abdicatario. Vittorio Emanuele I preferì l’abdicazione, avvenuta il 13 marzo 1821, alla concessione dello Statuto in seguito ai moti rivoluzionari dilaganti in Europa e che avevano investito anche Torino e il Regno tutto. Vittorio Emanuele I è ricordato anche per aver fondato, con le Regie Patenti del 13 luglio 1814, l’arma dei Reali Carabinieri di Sardegna, futuri Carabinieri del Regno d’Italia che tutt’ora sopravvivono al servizio del Paese.

15 Fortemente richiesta anche da diversi personaggi autorevoli tra i quali il Conte Santorre di Santarosa, il Capitano Guglielmo Moffa di Lisio, il colonnello Carlo Emanuele Asinari di San Marzano ed il Principe Carlo Emanuele Dal Pozzo della Cisterna (Storia d’Italia, vol. 3, dal primo settecento all’unità, Einaudi, 1975).

16 Carlo Felice non approvò mai la concessione della Costituzione, sostenne altresì che qualsiasi atto emanato durante la reggenza di Carlo Alberto sarebbe stato considerato nullo e privo di effetti.

17 Il 29 marzo, dopo avergli ordinato di trasferirsi a Novara qualche giorno prima, Carlo Felice impose a Carlo Alberto di raggiungere la Toscana. Questo primo allontanamento da Torino può essere inteso come un assaggio dell’esilio che lo vedrà protagonista dopo la disfatta di Novara durante la Prima Guerra di Indipendenza del 1848.

18 I membri più giovani dell’alta nobiltà piemontese, tra cui anche ufficiali dell’Esercito sardo, guardavano di buon occhio le aperture liberali di Carlo Alberto.

19 Carlo Felice pensò addirittura di escludere il nipote dalla linea di successione al Trono facendo in modo che, alla sua morte, gli succedesse direttamente il figlio di Carlo Alberto: Vittorio Emanuele. Tutto questo non venne messo in atto perché avrebbe contraddetto i principi del Congresso di Vienna sulla legittimità dei Troni.

20 Carlo Felice, in punto di morte, perdonò definitivamente Carlo Alberto e pronunciò la seguente frase: “Je meurs content de vous” (fr. Muoio orgoglioso di voi) confermandolo come suo successore al Trono.

21 Con fusione perfetta s’intende l’unificazione di tutti i territori sabaudi della terra ferma con il Regno di Sardegna (Piemonte, Ducato di Savoia, Nizza e la Liguria).

22 Lo Statuto Albertino fu concesso da Carlo Alberto il 4 marzo 1848 e rimase in vigore sino al 1 gennaio 1948, giorno in cui entrò in vigore la Costituzione repubblicana. Con lo Statuto, il Regno di Sardegna prima ed il Regno d’Italia poi, ebbero assicurata una forma di governo retta da Monarchia costituzionale e non più assoluta.

23 “Con lealtà di Re e con affetto di Padre Noi veniamo oggi a compiere quanto avevamo annunziato ai Nostri amatissimi sudditi col Nostro proclama dell' 8 dell'ultimo scorso febbraio, con cui abbiamo voluto dimostrare, in mezzo agli eventi straordinarii che circondavano il paese, come la Nostra confidenza in loro crescesse colla gravità delle circostanze, e come prendendo unicamente consiglio dagli impulsi del Nostro cuore fosse ferma Nostra intenzione di conformare le loro sorti alla ragione dei tempi, agli interessi ed alla dignità della Nazione. Considerando Noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente Statuto fondamentale come un mezzo il più sicuro di raddoppiare quei vincoli d'indissolubile affetto che stringono all'Itala Nostra Corona un popolo, che tante prove Ci ha dato di fede, d'obbedienza e d'amore, abbiamo determinato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Iddio benedirà le pure Nostre intenzioni, e che la Nazione libera, forte e felice si mostrerà sempre più degna dell'antica fama, e saprà meritarsi un glorioso avvenire. Perciò di Nostra certa scienza, Regia autorità, avuto il parere del Nostro Consiglio, abbiamo ordinato ed ordiniamo in forza di Statuto e Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia, quanto segue:” (Preambolo di aperture dello Statuto Albertino scritto in maniera autografa da Sua Maestà Sarda Carlo Alberto di Savoia).

24 S’Hymnu Sardu Nationale venne composto da Giovanni Gonella, musicato da Vittorio Angius ed eseguito per la prima volta nel 1844 presso il teatro civico di Castello di Cagliari per omaggiare il Sovrano recatosi in visita presso la città. Il testo, interamente in lingua sarda, e la musica riscontrarono subito notevole successo, tanto da essere elevato ad Inno nazionale del Regno di Sardegna accanto alla preesistente Marcia Reale d’Ordinanza, mai regolamentata per legge come Inno Nazionale; anche dopo l’adozione della Marcia Reale come Inno ufficiale del Regno d’Italia nel 1861, l’Inno Sardo rimarrà sempre caro a Casa Savoia, tanto da essere considerato come un secondo inno del Regno.

25 Composta tra il 1831 ed il 1834 da Gabetti, la Marcia Reale d’Ordinanza rimase dal 2 agosto 1834 al giugno 1946. Inizialmente concepita come Marcia di accompagnamento durante le uscite pubbliche del Sovrano, diventerà Inno nazionale solo nel 1861 con l’unificazione e la proclamazione del Regno d’Italia.

26 Battaglia combattuta il 23 marzo 1848 presso Novara tra l’esercito sardo e l’esercito asburgico e che vide la totale sconfitta dell’esercito sabaudo e condizioni di pace estremamente dure.

27 Carlo Alberto, nella sera del 23 marzo stesso, cosciente della disastrosa condizione in cui versava l’esercito piemontese e nella speranza che le austere condizioni di pace imposte dall’Impero asburgico potessero essere mitigate, decise di abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele. Ai tentativi di persuasione, il Sovrano rispose ai presenti, con non poco dolore, con le seguenti parole: “La mia decisione è frutto di matura riflessione; da questo momento io non sono più il Re; il Re è Vittorio, mio figlio”. Carlo Alberto, dopo l’abdicazione passerà l’ultimo anno della sua vita in esilio in Portogallo, presso la città di Oporto. Carlo Alberto morirà il 28 luglio 1849 nella sua dimora in Portogallo pronunciando le seguenti parole “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”, dopo essere stato imbalsamato ed esposto nella cattedrale di Oporto, la salma verrà trasportata a bordo della corvetta Monzambano, al commando del cugino S.A.R. il Principe Eugenio Emanuele di Savoia – Villafranca, presso Genova per giungere a Torino il 4 ottobre per I solenni funerali. La salma verrà inumata il giorno seguente nella cripta reale di Superga, dove tuttora giace.

28 Tale armistizio, firmato il 24 marzo 1848, prevedeva, tra l’altro, l’occupazione austriaca di Alessandria e del quadrilatero strategico tra Lomellina e Monferrato sino alla firma della successiva pace di Milano, avvenuta il 6 agosto 1849 nell’omonima città lombarda. Per la firma della pace, Vittorio Emanuele II dovette sciogliere la Camera dei Deputati nella speranza che la nuova Assemblea fosse favorevole a tale approvazione. Il Sovrano si impegnò personalmente, affinchè questo venisse reso possibile, rivolgendosi direttamente all’elettorato con il proclama di Moncalieri il 20 novembre 1849. Le condizioni imposte dall’Austria, infatti, portarono la Camera esistente a non ratificare la pace.

29 Fu proprio in questa occasione che cominciò ad essere soprannominato “Re galantuomo”, artefice di questo soprannome fu il Presidente del Consiglio in carica, Massimo d’Azeglio.

30 Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, Conte di Cavour (Torino 1810 – Torino 1861), fu una figura chiave del Risorgimento italiano, Ministro del Regno di Sardegna prima e Primo Ministro del Regno di Sardegna e d’Italia poi, condusse abili trattative diplomatiche con in vari Stati europei dell’epoca per il raggiungimento dell’unità nazionale. Ai ministeri Cavour vanno riconosciuti, tra le altre cose, anche i meriti dell’innovazione infrastrutturale, economica e di ammodernamento dell’epoca. I rapporti tra il Sovrano ed il Primo ministro spesso non furono dei migliori, si narra di una furiosa litigata tra i due dopo la firma dell’Armistizio di Villafranca, al termine della Seconda Guerra di Indipendenza (1859). Secondo Cavour, infatti, la firma di quell’Armistizio, con la conseguente annessione della Lombardia e non del Veneto, fu una tragedia politica che culminerà in una furiosa litigata col Sovrano e con le dimissioni di Cavour come Presidente del Consiglio.

31 Giuseppe Maria Garibaldi (Nizza 1807 – Caprera 1882) fu un Generale e patriota italiano del Risorgimento, conosciuto come Eroe dei due mondi; Garibaldi, pericoloso rivoluzionario per il pensiero comune dell’epoca, mise al servizio di Vittorio Emanuele II la sua spada per la causa nazionale. Seppur di fede repubblicana, Garibaldi era ben cosciente del fatto che l’Italia sarebbe potuta nascere solo sotto gli auspici della Corona sabauda, unica Casa regnante degna di questo arduo e complesso compito. Più volte respinto dal Sovrano, riesce ad ottenere il suo incarico nel 1859 come Maggiore Generale del Corpo neo costituito dei Cacciatori delle Alpi. A Garibaldi va riconosciuta l’organizzazione e la guida della spedizione dei Mille, grazie alla quale nel 1860 il Regno di Sardegna si espanse notevolmente estendendo i propri confini alla Sicilia. Con la spedizione dei Mille, infatti, Vittorio Emanuele diveniva Sovrano di quasi tutta la penisola, ad eccezione di Roma, ancora in mano al Papa Re Pio IX, e delle terre annesse solo con la Prima Guerra Mondiale.

32 Vittorio Emanuele II assunse tale carica grazie alla legge n. 4671 del 17 marzo 1861 emanata dal Parlamento sardo riunitosi nel cortile di Palazzo Carignano a Torino, sede del primo Parlamento. La sessione parlamentare venne tenuta all’aperto in quanto i lavori per la realizzazione della Camera non erano ancora terminati. E’ significativo il fatto che Vittorio Emanuele voglia conservare l’appellativo di “secondo”, nonostante fosse il primo Re d’Italia; questa scelta, del tutto personale, è stata presa come segno di continuità con lo Stato sardo e con il regime costituzionale precostituito: il Regno d’Italia non era considerato altro che l’espansione del Regno di Sardegna preesistente.

33 Durante i negoziati, il maresciallo Radetzky si dice abbia richiesto a Vittorio Emanuele di tornare ad un regime assoluto abolendo lo Statuto concesso nel 1848 dal padre, Carlo Alberto. La ferrea volontà del Sovrano di non cedere a questa richiesta gli sarebbe valsa l’appellativo di Galantuomo. Questa teoria, però, venne smentita a più riprese da diversi studiosi tra i quali lo storico Denis Marck Smith nel libro “Vittorio Emanuele” e lo scrittore, giornalista, Indro Montanelli nella sua “Storia d’Italia”.

34 Nel 1865 la Capitale del Regno d’Italia venne trasferita da Torino a Firenze per due motivi fondamentali: il primo motivo consisteva nella praticità di avere una Capitale più centrale e meno periferica, il secondo motivo, motivo esclusivamente strategico e politico, fu quello di tranquillizzare e convincere le truppe pontificie e la Francia del non interesse sabaudo per la città di Roma.

35 Nel 1871, dopo la presa di Roma e la sconfitta delle truppe pontificie del 1870, la Capitale del Regno d’Italia venne trasferita ufficialmente a Roma e la residenza reale al Palazzo del Quirinale.

36 Vittorio Emanuele II avrebbe voluto essere sepolto a Superga insieme ai suoi predecessori, ma, su richiesta del Sindaco di Roma Emanuele Ruspoli e per concessione del Re Umberto I, venne tumulato presso la basilica del Pantheon.

37 La sua tomba e quella del figlio Umberto I (dal 1900) con la Regina Margherita (dal 1926) sono tutt’ora presidiate dalle Guardie d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon. L’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon è un istituto che affonda le sue radici tra i reduci delle campagne risorgimentali; nacque, infatti, il 18 gennaio 1878 come “Comizio Generale dei Veterani 1848 – 1870” e si propone da allora di prestare servizio di guardia alle tombe dei reali italiani (inizialmente solo al Padre della Patria, dalla morte di Umberto I a tutti i sovrani d’Italia appartenenti a Casa Savoia).

38 Il titolo di Principe di Piemonte, alternato al titolo di Principe di Napoli, è il titolo riservato all’erede al Trono di Casa Savoia. Dall’unificazione nazionale al 1946 possiamo ricordare solo due principi di Piemonte: Umberto I ed il nipote Umberto II. Il titolo di Principe di Napoli, invece, venne concesso solo a Vittorio Emanuele III ed al nipote Vittorio Emanuele sino al 1970, quando perse i diritti dinastici. Attualmente il titolo di Principe di Piemonte è posseduto dal Principe Umberto, figlio dell’attuale Duca di Savoia Aimone, il titolo di Principe di Napoli, invece, risulta riassorbito dalla Corona, sarà presumibilmente il figlio dell’attuale Principe di Piemonte ad ereditarlo.

39 Secondo la numerazione sarda, mantenuta da Vittorio Emanuele II, Umberto avrebbe dovuto assumere il numerale “IV”, sebbene non adotterà mai tale numerale, nel 1878 salirà al Trono anche col nome di Umberto IV di Sardegna.

40 Furono   ufficialmente ammessi al voto i cittadini maggiorenni in possesso di   licenza elementare o con un pagamento annuo di tasse pari o   superiori alle 19,80 lire. Questa modifica alla legge elettorale   portò la percentuale dei votanti dal 2% al 7% sulla popolazione   totale (fonte sito della Camera dei Deputati   https://www.camera.it/leg18/512?conoscerelacamera=351).

41 “Art. 1. E conceduta piena amnistia per tutti i reati politici e per i reati di stampa finora commessi: per i medesimi l’azione penale è abolita, e le pene pronunciate sono condonate. Art. 2. Per reati di ogni altra specie commessi anteriormente a questo giorno, quando siano soggetti a pene di durata non maggiore di sei mesi, l’azione penale è abolita, e le pene pronunciate sono condonate. Nei reati soggetti a qualunque pena temporanea di maggior durata, alle condanne pronunciate o da pronunciarsi sarà applicata la riduzione di sei mesi. Nei reati soggetti a pene pecuniarie, le quali, fatto ragguaglio secondo le leggi, corrispondano agli arresti o non eccedano sei mesi di carcere, l’azione penale è abolita, e le pene pronunciate sono condonate. Se calcolate colle stesse norme importino carcere di maggior durata, saranno diminuite di una somma corrispondente a sei mesi.” (Gazzetta Ufficiale del Regno, 19 gennaio 1878).

42 Art. 3. Tutte le condanne alla pena di morte, per reati anteriori a questo giorno, sono commutate nella pena dei lavori forzati a vita. (Gazzetta Ufficiale del Regno, 19 gennaio 1878).

43 Memorabile rimane la sconfitta subita dall’Italia in occasione della Battaglia di Dogali avvenuta il 26 gennaio 1887 tra l’Esercito coloniale italiano e l’Esercito etiope.

44 Tra le conquiste coloniali rilevanti del XIX secolo possiamo annoverare solo la nascita della colonia italiana in Eritrea nel 1890.

45 Coloro che non simpatizzavano per il Sovrano erano soliti aggiungere e completare l’aggettivo con “a nulla”.

46 Quando scoppiò l’epidemia di colera a Napoli, il Sovrano si trovava a Pordenone per l’inaugurazione di un padiglione industriale, appena venuto a conoscenza della notizia, il Sovrano avrebbe detto “a Pordenone si fa festa, a Napoli si muore. Vado a Napoli.” Arrivato a Napoli, Umberto I non si risparmiò di far visita ai malati di colera senza curarsi dei pericoli che poteva correre.