La kalokagathia

di Nicola Bosco

La kalokagathia è un concetto tipico della società greca arcaica che affonda radici antichissime. Ne sentiamo parlare per la prima volta grazie ai poemi omerici, in special modo nell’Iliade; quindi, stiamo parlando di quel periodo storico successivo all’arrivo dei Dori (XIII sec. A.C.) e precedente all’VIII secolo a.C. L’eroe omerico, difatti, può essere valoroso solo se bello e viceversa. A prova di ciò notiamo come nel II canto dell’Iliade Tersite, soldato brutto e gobbo, non incarni affatto i valori della prodezza e del coraggio, preferendo fare ritorno in patria piuttosto che combattere e, nonostante alcuni fossero effettivamente d’accordo a prendere il mare e tornarsene a casa, le parole di Tersite infastidiscono i presenti al consiglio, tantoché egli viene percosso con lo scettro da Odisseo.

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Con l’avanzare degli anni, il concetto di bello e buono non sarà più riferito al solo aspetto fisico ma verrà largamente dibattuto in campo matematico e filosofico. Il celeberrimo Pitagora, discutendo sulla natura dei numeri, definisce i numeri pari come illimitati (quindi imperfetti) e quelli dispari come limitati (quindi perfetti), secondo una visione tipica del mondo arcaico che vede nelle cose limitate la perfezione. Tale concetto pitagorico verrà ripreso da Platone durante la sua anzianità. Quest’ultimo, sempre nell’ultima fase della sua vita, accoglie favorevolmente l’ideale della kalokagathia, asserendo che la bellezza è la forma esteriore della bontà, e ciò che è bello e buono non può essere che vero. Come possiamo notare, l’idea di Platone si contrappone radicalmente a quella dei sofisti, i quali, con la loro visione relativista del mondo, non possono che negare il concetto di kalokagathia, poiché una cosa può essere bella come brutta per qualcun altro, esattamente come viene affermato nell’opera “le Antilogie”, attribuita al sofista Protagora oppure a Gorgia.

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Ritornando a Pitagora, notiamo che le dottrine di quest’ultimo si siano riflesse nel corso della storia greca anche nell’architettura. Un sommo esempio è quello del tempio greco: il Partenone, infatti, è costruito su base rettangolare dato che il rettangolo era considerato da Pitagora la forma perfetta per eccellenza. Dunque bellezza è sinonimo di perfezione matematica. Ma non è solo l’architettura ad essere soggetta alle rigorose regole della matematica, ma anche la scultura. Sin dall’epoca arcaica, notiamo come le statue (come, ad esempio, il Kouros e la Kore) sono soggette a delle solide leggi di proporzionalità le quali, passando per l’età severa, quella classica e quella ellenistica, si conserveranno nell’arte scultorea, seppur mutando il modo in cui esse sono messe in atto. Le statue arcaiche, per esempio, seguono le leggi della proporzionalità data la loro rigidità e staticità, mentre una statua che all’apparenza non sembra seguire particolari leggi sulla proporzione, come quella del Laocoonte, comunque segue una certa struttura che la rende proporzionata e, perciò, bella.

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Ma non è solo la proporzionalità ad essere l’elemento fondante della kalokagathia nella scultura. L’ideale della bellezza, difatti, è fortemente accentuato dal corpo nudo del soggetto scolpito, dalla plasticità delle sue forme, dai movimenti e dal pathos che esso esprime. Nella scultura arcaica prevaleva solamente l’attenzione minuziosissima per le misure della statua e per le sue proporzioni, mentre già durante l’arte severa ci si concentra maggiormente sull’esaltazione della bellezza del soggetto scolpito. Citando il motto “mens sana in corpore sano”, senza dubbio veniamo richiamati al concetto di kalokagathia, motivo per cui spessissimo gli atleti vengono raffigurati come massimo esempio di bellezza e compostezza. A prova di ciò, prendiamo la magnifica statua del Discobolo, risalente all’età severa.

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Ma da dove derivano la bellezza e la bontà in un uomo dell’Antica Grecia? Stando ad Omero, i valori del bello e del buono sono innati, fornitici dalle divinità. Quest’innatismo dei valori troverà nuovo lustro in Platone. Oggigiorno ci sono stati molti dibattiti sulla natura sociale della kalokagathia, i quali hanno suscitato diversi diverbi fra studiosi più classicisti e altri fedeli ad una linea più moderna. Di sicuro siamo certi che nel mondo omerico, la kalokagathia era un saldo valore sociale che, durante la riforma delle classi sociali di Solone, ha visto un ridimensionamento poiché anche i censi inferiori (che certamente non disponevano degli ideali eroici degli aristocratici e dei grandi generali) poterono godere di una maggiore rappresentanza cittadina e di maggiori diritti. In seguito, la kalokagathia conoscerà un parziale abbandono sotto la “reggenza” filosofica del sofismo e, infine, sarà riabbracciata dal mondo post-platonico, quindi proveniente da Platone e Aristotele, arrivando ai giorni nostri sottoforma di uno squisito argomento epico, storico e sociale sul quale si può lungamente dibattere.