La Regina Elisabetta II e l'Italia

di Paolo Albi

 

Lo storico discorso di S.M. La Regina Elisabetta II d'Inghilterra ha dimostrato a tutto il mondo che il coronavirus, a certe condizioni, può essere sconfitto abbastanza facilmente, nonché – cosa di assoluta rilevanza strategica planetaria – come risulti assolutamente falso che la vittoria sia più a portata di mano dei sistemi con venature autoritarie e totalitarie di vario grado che non delle grandi Nazioni di tradizione liberal-democratica e occidentale.

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SM la Regina durante il discorso al Regno Unito ed al Commonwealth, 2020

Un discorso intriso sì di dolore, ma soprattutto carico di equilibrato orgoglio, di consapevolezza serena e tranquilla risolutezza, di senso del dovere e dello Stato, di rigore e autodisciplina, di abnegazione e coscienza del ruolo.

In Italia ci son subito – come dire? – fischiate le orecchie.

Oso infatti affermare che non è un caso che quel discorso sia suonato così consolantemente familiare, perlomeno a noi Italiani Monarchici; ciò è avvenuto anche a cagion del fatto che le parole di quel discorso sono state pronunciate da una Regina.

E il pensiero è subito corso - impietoso - al confronto con l'angusto recinto dell'attuale politica italiana.

Dichiarazioni bassamente propagandistiche da tutte le parti, polemiche spesso poco assennate, mancanza a volte della necessaria determinazione, e chi più ne ha più ne metta: insomma il solito spettacolo al quale siamo ormai adusi, perfino in un momento di difficoltà che avrebbe richiesto ben altra – e ben più premurosa - cura dell'interesse generale.

Il fatto gli è che questa vicenda ha messo a nudo un problema annoso: le nostre Istituzioni non reggono più, non appassionano né tantomeno legano i cittadini; lo Stato nazionale è ridotto a brandelli; dello Stato di Diritto – che ipocritamente rivendichiamo a ogni piè sospinto come patrimonio nazionale di antica scaturigine storica - meglio non parlare.

Tutti oggi dicono che dopo l'emergenza si dovrà ripartire con soluzioni nuove e con grande entusiasmo. Non so se questo accadrà.

Quello che sento con certezza è che quella ripresa non sarà possibile se non saremo in grado di riscoprire antichi e solidi legami, ragioni irrinunciabili ed esempi che ci indichino la via del cammino.

Il nostro Stato non “tiene” più da decenni (e anzi siamo ormai nella fase terminale della malattia) per una semplicissima, sinanco banale, ragione: si è voluto reciderne le radici, rompendo brutalmente ogni continuità con l'esperienza risorgimentale che pure alla nostra organizzazione statuale aveva dato origine.

Allo Stato di Diritto, dovuto al felice e fertile incontro - e direi all'inestricabile compenetrazione - tra la Dinastia Sabauda e la tradizione liberale italiana, nel dopoguerra e segnatamente dagli anni '60 in poi, alcune grandi forze politiche, tutte per diverse ragioni estranee, se non ostili, al Risorgimento Italiano e allo Stato unitario, hanno voluto sostituire un “nuovo Stato dei Partiti”, da loro a torto ritenuto più aderente a istanze di “democrazia sostanziale” contrapposte ideologicamente (e erroneamente!) alle “libertà formali” del “vecchio” Stato liberal-monarchico.

Questo nuovo “Stato dei Partiti” ben presto è ineluttabilmente degenerato in partitocrazia mafiosa – tecnicamente criminale e criminogena – che ha devastato le Istituzioni, ha compresso importanti spazi di libertà civile sociale ed economica, ha guardato con sospetto i contrappesi al potere pervasivo dei Partiti, contrappesi necessari in un sistema autenticamente liberal-democratico (come non ricordare la nobile tradizione del Senato del Regno?), ha massificato le persone invece di cercare di costruire individui responsabili e autonomi, ha corrotto e comprato le coscienze degli elettori con una gestione del bilancio pubblico ispirata a criteri di gigantesco meccanismo di voto di scambio e non di rigorosa e prudente allocazione delle risorse, ha portato al disastro il Bilancio pubblico.

In queste condizioni nessun sistema può sopravvivere: lo stato del nostro debito pubblico – che tanto ha inciso sulle difficoltà incontrate nella lotta al coronavirus e alle sue conseguenze economiche - peraltro non è che la lineetta di mercurio del termometro che rivela la febbre di un organismo malato.

Occorrerà insomma dopo l'emergenza – e questa pare sia ormai convinzione unanime - porre mano alla Ricostruzione.

Ma in Italia non sarà sufficiente una ricostruzione meramente economica; dovrà esserci innanzitutto ricostruzione morale, civile e istituzionale.

Molti parlano di Assemblea Costituente. Ben venga, ma che non sia ipocrita intervento di maquillage di regime, ma incisiva, radicale, trasformazione.

Molti protagonisti della nostra “politique politicienne”, preso atto del fatto che l'impianto costituzionale è in cortocircuito, propongono soluzioni apparentemente taumaturgiche, in primis la Repubblica presidenziale (o semi presidenziale) e l'elezione diretta del Presidente del Consiglio.

Credo però non ci sia troppo da fidarsi della soluzione presidenzialista: nell'esperienza concreta italiana, ad invarianza di regime e di forze politiche esistenti e di umori diffusi nel Paese, con ogni probabilità ci ritroveremmo con una repubblica presidenziale più di connotazione “sudamericana” che non “statunitense”.

Quanto al premierato, oltre alla persistenza del medesimo rischio plebiscitario e populistico connaturato al presidenzialismo, e a parte le tecnicalità che qui non si ha lo spazio di approfondire, mi appare di una certa forza l'obiezione secondo la quale negli ultimi decenni abbiamo conosciuto sempre più un Esecutivo decidente (per esempio con la prassi di abuso dei Decreti Legge) e correlativamente un Parlamento impotente e insignificante; non sembra davvero sostenibile, sulla base dell'esperienza, che la soluzione “magica” dei nostri problemi possa essere quella del rafforzamento dell'Esecutivo e del ridimensionamento del potere legislativo.

Occorre invece ben di più e ben altro. E noi, cari amici, sappiamo bene quel che occorre in termini di prestigio e di terzietà del vertice dello Stato.

Occorre poi riportare a unità il Paese, cosa che solo un Re, per la peculiarità del proprio ruolo, può pienamente realizzare. L'emergenza sanitaria che viviamo è implacabile cartina di tornasole dell'errore storico di istituire le Regioni e delle successive scelte di tutte le parti politiche sul Titolo V della Costituzione. Il professor Cassese ha autorevolmente proposto nei giorni scorsi di modificare la Costituzione, riportando tutta le competenze sulla sanità in seno allo Stato. Ma, costituendo la Sanità l'80% del bilancio delle regioni, che senso avrebbe a quel punto tenere queste ultime in vita? Servirebbero di fatto solo per foraggiare il clientelismo e il malcostume di una spesso famelica classe politica locale, vizi di cui esiste sovrabbondante casistica.

Lavorare all'abolizione delle Regioni e al ridisegno complessivo della struttura dello Stato, progettando di affidare direttamente a Province e Comuni quelle competenze che sarebbero da loro più utilmente gestibili rispetto al livello nazionale, sarebbe davvero un fatto epocale e di ricostruzione dello Stato.

Ci sono poi da ridisegnare i rapporti del nostro Paese con l'Europa – una Europa da ripensare nella sua estensione e nella sua configurazione federale e qui l'Italia potrebbe svolgere con autorevolezza un ruolo centrale, non sbandierando nazionalismi fuori della Storia, ma portando in dote al progetto comune l'autorevolezza di una Dinastia profondamente ancorata all'Europa - e parimenti con il Mondo che ormai – piaccia o no – diventa sempre più, per una non invertibile serie di ragioni, non esclusivamente tecniche o tecnologiche ma al fondo squisitamente politiche, “un guscio di noce” e una realtà interdipendente e interconnessa.

Potremmo sostanzialmente trovarci di fronte a un appuntamento con la Storia, come vedete! Io vorrei che di quell'appuntamento, per l'Italia e con l'Italia, fosse protagonista un Savoia Aosta, erede legittimo al trono.

Visto mai che, nel 150° di Roma Capitale, ci sia dato di iniziare ad aprire un'altra Breccia, fausta e feconda come quella?

E allora sursum corda e intelligente e ragionata azione!