La storia dell'associazionismo e partitismo monarchico italiano attraverso Vincenzo Vaccarella. 7


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2011: SOLENNE CERIMONIA DEL 4 NOVEMBRE PRESSO IL SACRARIO MILITARE DI REDIPUGLIA dove sono custodite le salme di 100.000 caduti nella guerra del 1915-1918; nella foto si vede il sacello del Duca Emanuele Filiberto Savoia-Aosta che volle essere sepolto tra i soldati della Terza Armata.

https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=bsspGok3f0I



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Volantino dell’Unione Monarchica Italiana che pone simbolicamente la Corona reale italiana al centro, circondata dalle bandiere delle Nazioni europee guidate ancora oggi dall’Istituzione monarchica.

Ritoccato da Roberto Carotti di Ancona, il disegno nasce da un’idea di Sergio Boschiero del 1976:

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successivamente rielaborato da Davide Colombo in più riprese:

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1954 sui faraglioni di Acitrezza: si riconoscono il Segretario Nazionale del Movimento giovanile di Stella e Corona, Campagna, il Segretario di Siracusa, Arancio, Francesco (Ciccio) Ardini, Segretario di Catania e il Conte Vincenzo Vaccarella.




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Il Conte Vincenzo Vaccarella sulla barca che lo portava da Palau a La Maddalena, davanti allo Scoglio di Santo Stefano dove è posta dal 9 settembre 1949 la stele commemorativa dell'affondamento della corazzata Roma e dei Cacciatorpedinieri Vivaldi e Da Noli.


La corazzata Roma, nave da battaglia classe Littorio, fu costruita e allestita a Trieste. Entrò in servizio il 14 giugno del 1942 e si trasferì a Taranto (entrando a far parte della 9^ Divisione Navale) dove rimase fino al novembre del 1942. Il 13 novembre era a Napoli per azioni di guerra. Trasferita a La Spezia, fu bombardata il 5 e il 23 giugno 1943 durante due massicci attacchi aerei. Si portò quindi a Genova per riparare le avarie. Il giorno dell’Armistizio, 8 settembre 1943, la corazzata si trovava a La Spezia pronta a muovere in supporto delle navi alleate per proteggere le truppe impegnate nello sbarco di Salerno, previsto per il giorno successivo. Ma l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo delle Forze Navali, venne avvertito telefonicamente dal capo di Stato maggiore della Marina Raffaele De Courten, dell’Armistizio ormai imminente e delle relative clausole che riguardavano la flotta, che prevedevano il trasferimento immediato delle navi italiane a Malta, dove sarebbero rimaste in attesa di conoscere il proprio destino. Il giorno successivo la corazzata Roma (nave ammiraglia) insieme alla flotta lasciò La Spezia per La Maddalena. Nel corso della mattinata si susseguirono allarmi aerei prodotti dal sorvolo di ricognitori inglesi, mentre la flotta si stava dirigendo verso il porto de’ La Maddalena per ricevere gli ordini e la destinazione finale per l’incontro con le autorità inglesi. Prima che la Roma giungesse a La Maddalena i tedeschi occuparono l’isola. La Marina diramò allora l’ordine di dirigersi verso Bona (oggi Annaba, Algeria), richiedendo agli Alleati una copertura aerea per proteggere la nave da eventuali attacchi tedeschi. Verso le ore 13 fu avvistato un aereo tedesco (un ricognitore che stava trasmettendo la nuova rotta della flotta al Comando tedesco) e fu lanciato l’allarme. I tedeschi, appena ricevuta l’informazione circa la rotta seguita dalla flotta per uscire dal Golfo dell’Asinara, dettero disposizioni alla 2^ Luftflotte di attaccare le FF.NN.BB. (Forze Navali da Battaglia). Ventotto aerei decollarono dall’aeroporto di Istres (Francia) in tre ondate. Alle ore 15.16 la flotta avvistò la formazione aerea costituita da undici velivoli e si preparò a eseguire il segnale P.3 (Posto di combattimento pronti ad aprire il fuoco). I primi cinque aerei tedeschi (comandati dal maggiore Jope) avevano ormai superato il punto per lo sganciamento delle bombe e quindi dovevano considerarsi in allontanamento. Non sussistevano quindi elementi tali da far giudicare il loro volo come "una definita azione ostile". A questo punto gli aerei sganciarono la prima bomba, la cui codetta luminosa, data l’altezza di sorvolo, fu inizialmente scambiata per un segnale di riconoscimento. Subito dopo ci si rese conto che si trattava di una bomba e fu dato ordine alle artiglierie contraeree della flotta di aprire il fuoco, sparando alla massima elevazione. Pur rendendosi difficile la precisione del tiro, si ottenne ugualmente un efficace fuoco di sbarramento. Una prima bomba cadde cinquanta metri a prora dell’incrociatore Eugenio di Savoia, sede del Comando della 7^ Divisione Navale, senza provocare danni. Una seconda bomba cadde vicinissima alla poppa della corazzata Italia, facendo saltare i massimi in centrale elettrica. La nave governò, ma solo per poco tempo, con il timone rimasto alla banda, i massimi furono subito rimessi in funzione e non si verificarono altri danni. Un aereo isolato, facente parte del II KG 100 raggiunse la Roma di poppa e a dritta. Sulla corazzata entrarono subito in azione le batterie di dritta, mentre non poterono essere impiegate le torri di medio calibro perché gli aerei tedeschi volavano molto in alto. Subito dopo spararono anche le batterie di sinistra dato che la formazione aerea tedesca era entrata nel loro raggio di azione. La Roma fu colpita da una prima bomba Fritz 1400 X* nella parte centrale sul lato destro. La bomba attraversò l’unità per tutta la sua altezza e scoppiò poco al di sotto della chiglia, provocando l’allagamento del locale caldaie e macchine di poppa. I danni causati immobilizzarono le due motrici riducendo la velocità da ventidue a sedici nodi, resero inutilizzabili gli apparecchi per il tiro contraereo di destra, interruppero i contatti elettrici e telefonici, ivi compresi quelli del tiro contraereo. Si verificò una falla attraverso la quale la corazzata imbarcò acqua, si inclinò sulla destra e venne controbilanciata allagando a sinistra. Mentre la Roma stava effettuando la manovra, l’aereo pilotato dal sergente Kurt Steinborn sganciò un’altra bomba Fritz 1400 X. Il puntatore, sergente Eugen Degan, seguì in punteria la bomba che colpì la Roma al centro-prora a sinistra, scoppiando nelle vicinanze del locale motrice di prora e causando una fuga di vapore e l’allagamento delle macchine di prora, le cui motrici si bloccarono. La nave quindi proseguì solo per abbrivio. Contemporaneamente deflagrò il deposito munizioni e per simpatia (termine usato in questo caso per comunicare che la deflagrazione di un deposito munizioni causa la deflagrazione di un altro deposito munizioni) deflagrò anche un altro deposito munizioni adiacente che saltò in aria, cadendo poi in mare con tutta la sua massa di quindici mila tonnellate.
Come conseguenza della deflagrazione delle munizioni si alzò una densa colonna di fiamme e fumo che raggiunse altezze intorno ai quattrocento metri. La nave venne quasi sollevata in aria e ricadde immediatamente iniziando a sbandare sul lato destro. Le riservette delle mitragliere antiaeree (armadi nei quali vengono conservate le munizioni vicino ai singoli pezzi) si incendiarono; i proiettili in esse contenuti presero fuoco e vennero lanciati in aria ferendo gravemente e uccidendo diversi marinai. 
La corazzata Roma, per l’allagamento dei locali, per gli effetti dell’esplosione dei depositi munizioni e per l’azione degli incendi che la stavano devastando, dopo essere notevolmente sbandata, si spezzò in chiglia e affondò divisa in due tronconi. Ingentissima fu la perdita di vite umane, fra le quali quella dello stesso comandante in capo Carlo Bergamini e del comandante della corazzata Roma Adone Del Cima. I naufraghi della Roma, recuperati dalle unità navali inviate in loro soccorso, furono seicentoventotto, di questi la maggior parte fu recuperata dai cacciatorpedinieri Mitragliere, Fuciliere e Carabiniere, diciassette dall’incrociatore Attilio Regolo e centodue dalle torpedinieri Pegaso, Impetuoso e Orsa. Dei seicentoventotto uomini salvati, nove morirono a bordo delle altre navi, sedici all’ospedale di porto Mahón (Isola di Minorca, Baleari, Spagna) e uno a Caldes de Malavella (Catalogna, Spagna). I superstiti della Roma furono quindi seicentodue. Ben milletrecentonovantatre marinai morirono nell’affondamento della corazzata, su un totale di duemilaventuno unità di equipaggio.

La *Fritz X pesava 1400 chili (da qui il nome), di cui 350 di alto esplosivo comandato da un innesco. Molte bombe di questo tipo furono usate con successo nell’ultima parte della seconda guerra mondiale, in particolare durante e dopo lo sbarco ad Anzio contro il naviglio da sbarco. Poteva essere teleguidata con impulsi che agivano sui timoni; il pilota dall’aereo riusciva a seguire il percorso della bomba, sia osservandone una codetta di fumo, che le luci collocate tra gli impennaggi e alimentate da serbatoi e batterie appositi. Il volo planato poteva anche durare qualche decina di chilometri. La finezza aerodinamica, la grande altezza di sgancio e il telecomando erano elementi indispensabili per un buon tiro. Sganciate a circa 6000 metri di quota percorrevano, in condizioni favorevoli, un centinaio di chilometri.1

1   https://www.comune.cinisello-balsamo.mi.it/pietre/spip.php?article78


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1966: il Conte Vincenzo Vaccarella sulla nave appena varata Achille Lauro; accanto a lui Michele D’Agostino, che sarà Preside in un liceo scientifico di Chieti, allora Segretario Regionale giovanile per gli Abruzzi e l’ing. Carmelo Papino, Dirigente di Stella e Corona della Federazione di Napoli, con sede nella Galleria Umberto I.



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Dicembre del 1954. Il Conte Vincenzo Vaccarella, allora Segretario Regionale del Movimento giovanile degli Abruzzi, sul Treno azzurro: 27 vagoni delle Ferrovie dello Stato partiti da Ragusa con tappa finale Milano. Il treno raccolse i delegati e i dirigenti del Partito Nazionale Monarchico nelle varie città, per accompagnarli al loro 2° Congresso Nazionale che si tenne al teatro Dal Verme di Milano dal 13 al 15 Dicembre 1954.

Nella foto il treno è fermo alla stazione di Santa Maria Novella di Firenze, bloccato da una manifestazione comunista della CGL; poté ripartire con l’intervento della polizia, così toccò Bologna e arrivò a Milano come da programma.


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