La successione dinastica in Casa Savoia

di Alessio Benassi

La successione dinastica in Casa Savoia, strettamente interconnessa alla normativa sui matrimoni principeschi, è regolamentata da una serie di norme, codificate a partire dal 1780 e mai abrogate, contenute in una pluralità di atti.

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Le regie lettere patenti del 13 settembre 1780, emanate da Vittorio Amedeo III:

Art. 1. Non sarà lecito a Principi del Sangue contrarre matrimonio senza prima ottenere il permesso Nostro o dei reali nostri successori, e mancando alcuni di essi a questo indispensabile dovere soggiacerà a quei provvedimenti, che da Noi o da reali successori, si stimeranno adatti al caso.

Art. 2. Se nell'inadempimento di questa obbligazione si aggiungesse la qualità di matrimonio contratto con persona di condizione e stato inferiore, tanto i contraenti che i discendenti da tale matrimonio si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi, come pure da ogni onorificenza e prerogativa della Famiglia.

Art. 3. Quando però il riflesso di qualche singolare circostanza determinasse Noi, od i reali nostri successori, a lasciare che si contragga matrimonio disuguale, riserviamo in tale caso alla sovrana autorità di prescrivere per gli effetti di esso le condizioni, e cautele, che dovranno osservarsi.

Il regio editto del 16 luglio 1782, anch'esso emanato da Vittorio Amedeo III:

Art. 10. I maritaggi dei Principi della nostra Casa, interessando essenzialmente il decoro della Corona ed il bene dello Stato, non potranno perciò contrarsi senza la permissione Nostra, o dei Reali successori, e mancando alcuni di essi Principi a questo indispensabile dovere, soggiacerà a quei provvedimenti, che all'occorrenza dei casi, sì da Noi, che dà Reali successori verranno ordinati, anche a tenore delle Patenti Nostre del 13 settembre 1780, con riserva pure di accompagnare le permissioni con le condizioni che si giudicheranno proprie e convenienti.

Lo Statuto Albertino del 4 marzo 1848:

Art. 2. Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica.

I criteri fondamentali relativi ai matrimoni vennero recepiti dalle due edizioni del Codice Civile:

Il Codice Civile del 2 aprile 1865:

Art. 69. Per la validità dei matrimoni dei Principi e delle Principesse Reali è richiesto l'assenso del Re.

Art. 81. Il consenso degli ascendenti, qualora non sia dato personalmente davanti l'uffiziale civile, deve constare da atto autentico, il quale contenga la precisa indicazione tanto dello sposo al quale si dà il consenso, quanto dell'altro.

Il Codice Civile del 16 marzo 1942:

Art. 92. Per la validità dei matrimoni dei Principi e delle Principesse Reali è richiesto l'assenso del Re Imperatore.

In base a queste norme i matrimoni dei principi di Casa Savoia avvengono rigorosamente fra pari: questo uso, vera e propria legge consuetudinaria osservata sin dagli albori della dinastia, è sancito dalle leggi suddette. Conformemente a molte famiglie reali europee (come, ad esempio, quella belga, quella danese, quella olandese o quella spagnola), anche in Casa Savoia il principe che sta per sposarsi deve obbligatoriamente ricevere l'assenso al matrimonio dal Capo della Casa, pena la perdita di tutti i diritti di successione.

Nel caso di nozze fra principi che non siano state autorizzate, il Capo della Casa potrà decidere le sanzioni caso per caso. Invece, nel caso di mancato assenso a un matrimonio diseguale (ad esempio un principe con una borghese, o con un membro della piccola nobiltà), è prevista la decadenza automatica del principe contraente matrimonio e l'esclusione da qualsiasi titolo e diritto di successione per sé e per la sua discendenza. La decadenza del principe e la sua esclusione dalla successione sono automatiche e non necessitano di alcun ulteriore atto da parte del Capo della Casa. Il principe decaduto non può appellarsi e contro tale situazione «non è ammesso reclamo ad alcuna autorità».

Tuttavia, in casi eccezionali, il Capo della Casa può autorizzare un matrimonio diseguale con il proprio assenso, considerandolo matrimonio dinastico. Un matrimonio, inoltre, può essere dichiarato morganatico: in tal caso il principe contraente matrimonio diseguale mantiene i propri diritti, ma non li trasmette né alla consorte, né alla discendenza.

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Lo Statuto Albertino del 1848, che si occupa dei rapporti fra i poteri e fra gli organi dello Stato, non si sofferma sulle leggi di successione e rinvia alle disposizioni precedenti dando solo, a differenza di altre costituzioni coeve, indicazioni di massima in merito alla successione. L'articolo 2 dello Statuto recita: «Lo Stato è retto da un Governo Monarchico Rappresentativo. Il Trono è ereditario secondo la legge salica», ed esclude quindi la successione femminile. Lo Statuto Albertino ha abrogato le precedenti disposizioni contrarie a esso secondo la lettura dell'articolo 81, ma le regie lettere patenti del 1780 e il regio editto del 1782 non sono contrarie allo Statuto dal momento che anch'esse prevedono la legge salica, precisandone i criteri di applicazione attraverso la normativa sui matrimoni principeschi.

Di nuovo, a conferma della validità delle disposizioni settecentesche, gli articoli inseriti nel Codice Civile del 1865 e nel Codice Civile del 1942, che prescrivono l'obbligatorietà del regio assenso prima delle nozze. Il principio dell'assenso preventivo non venne ritenuto contrario neanche alla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948, dal momento che rimase sotto il profilo dell'assenso del presidente della Repubblica per i militari di alto rango e per i diplomatici di carriera, cioè per quei soggetti che, come un tempo i membri della Famiglia Reale, rappresentano con le loro funzioni l'immagine pubblica dello Stato. In sintesi la successione in Casa Savoia, secondo l'interpretazione delle leggi suddette, segue:

• La legge salica, che comporta l'esclusione delle donne dalla successione.

• L'ordine di primogenitura.

•Il principio di parità delle nozze, eccezionalmente derogabile.

• Il principio del regio assenso alle nozze da parte del Capo della Casa, non derogabile.

Alla fine degli anni cinquanta alcuni rotocalchi italiani e stranieri iniziarono a dare notizia di avventure sentimentali fra Vittorio Emanuele di Savoia e l'attrice Dominique Claudel prima, e poi fra lo stesso Vittorio Emanuele e la campionessa di sci d'acqua Marina Doria, ventilando anche l'ipotesi di possibili nozze. Il Re Umberto II, in una lettera a Vittorio Emanuele del 25 gennaio 1960, preannunciò il proprio rifiuto alla concessione del regio assenso alle nozze qualora Vittorio Emanuele avesse contratto matrimonio diseguale ed espose il proprio punto di vista sulla questione, precisando che la decadenza automatica di un principe che contrae matrimonio non autorizzato con una sposa borghese: «si richiama alla legge della nostra Casa, vigente da ben 29 generazioni e rispettata dai 43 Capi Famiglia, miei predecessori, succedutisi secondo la legge Salica attraverso matrimoni contratti con famiglie di Sovrani. Tale legge, io 44mo Capo Famiglia, non intendo e non ho diritto di mutare, nonostante l'affetto per te».

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Ancora, il 18 luglio 1963, Umberto II chiese per iscritto a Vittorio Emanuele chiarimenti sui suoi progetti matrimoniali, ricordandogli l'impossibilità di modifica delle leggi di successione esistenti con l'inciso: «Sai bene che sono spinto solo dall'affetto che ho per te e dal desiderio di assicurarti il migliore avvenire, che non potrebbe mai essere in contrasto con quanto è sempre stato fatto nella nostra famiglia». Inoltre, Umberto II avvertì il figlio che un matrimonio non autorizzato avrebbe comportato anche risvolti patrimoniali, dal momento che l'eredità dello stesso Umberto II sarebbe in futuro stata divisa in parti uguali fra Maria Pia, Vittorio Emanuele, Maria Gabriella e Maria Beatrice, anziché riservare una quota più consistente all'erede dinastico. Vittorio Emanuele, in pratica, sarebbe rimasto erede civile di Umberto II, equiparato alle proprie sorelle nell'asse ereditario «giacché non vi sarebbe più alcuna ragione per un particolare trattamento» a suo favore, ma non sarebbe più stato erede dinastico e successore.

In conseguenza delle nozze civili di Vittorio Emanuele con Marina Doria, celebrate a Las Vegas nel 1970, Umberto II prese atto dell'automatica decadenza dinastica del figlio a norma delle regie lettere patenti del 13 settembre 1780 («tanto i contraenti che i discendenti da tale matrimonio si intenderanno senz'altro decaduti dal possesso dei beni e dei diritti provenienti dalla Corona e dalla ragione di succedere nei medesimi») e, coerentemente a quanto notificato il 25 gennaio 1960, irrogò le seguenti sanzioni:

1) Equa ripartizione testamentaria della propria eredità fra tutti i figli, senza la quota maggiore che era originariamente prevista per il principe ereditario.

2) Divieto di partecipazione dei membri di Casa Savoia, consistenti nei principi e nelle principesse delle Case Savoia-Genova e Savoia-Aosta, al matrimonio religioso celebrato a Teheran nel 1971 e al successivo ricevimento tenuto a Ginevra.

Le sanzioni furono comminate da Umberto II con discrezione, senza proclami pubblici che avrebbero potuto mettere in cattiva luce la Casa, il figlio (già esposto a note vicende di natura legale), e l'erede dinastico. Inoltre Umberto II, benché nutrisse sentimenti di affetto verso Vittorio Emanuele e verso il nipote Emanuele Filiberto, e nonostante avesse partecipato ad alcuni eventi familiari come il battesimo dello stesso Emanuele Filiberto, non riconobbe la nascita di quest'ultimo come significativa da un punto di vista dinastico e, come diretta conseguenza, non conferì a Emanuele Filiberto alcun titolo, né onorificenza, né il trattamento di altezza reale, che gli sarebbe spettato di diritto qualora Vittorio Emanuele non fosse decaduto dalla sua posizione di successore dinastico (nell'integrale dei Provvedimenti Nobiliari di Grazia e di Giustizia di Umberto di Savoia non risulta alcuna concessione firmata da Umberto II relativa ai titoli di principe di Piemonte e di principe di Venezia, nonostante questi titoli siano correntemente utilizzati da Emanuele Filiberto).

Le condizioni di salute di Umberto II, colpito da un tumore alle ossa, ebbero un notevole peggioramento nell'autunno del 1982. Nel tentativo di salvargli la vita venne trasferito da Cascais, dove si trovava in esilio, alla London Clinic di Londra. Secondo la testimonianza della figlia Maria Beatrice di Savoia: «Vittorio passeggiava freneticamente per i corridoi della clinica con un foglio in mano. Scoprii poi che si trattava del decreto di nomina nobiliare in favore della moglie Marina. Lo aveva preparato da tanto tempo e sperava che almeno in punto di morte lo firmasse. Ma non ci riuscì».

All'inizio del 1983, nella fase terminale della malattia, Umberto II venne trasferito all'ospedale di Ginevra per fare in modo che fosse più vicino ai familiari. Dopo la sua morte, avvenuta il 18 marzo dello stesso anno, Vittorio Emanuele agì da Capo di Casa Savoia assumendone titoli e prerogative, benché le questioni relative al suo matrimonio non autorizzato e alla conseguente decadenza automatica dalla successione dividessero i monarchici italiani. Suo figlio Emanuele Filiberto, nonostante Umberto II non gli avesse concesso alcun titolo, né trattamento, né onorificenza, iniziò a utilizzare i titoli di principe di Piemonte e di principe di Venezia, nonché ad attribuirsi il trattamento di altezza reale.

Solo dopo la fine dell' esilio nel 2002, e le diatribe sorte nella Consulta dei Senatori del Regno il Duca Amedeo, nel 2006, venne proclamato Capo della Casa dalla suddetta Consulta presieduta da Aldo Alessandro Mola.