L’Impero Ashanti, una Monarchia all’interno della Repubblica Ganese

di Giorgio Moscatelli

 

Ero in Africa da circa un mese; con il resto della troupe della Rai ero stato inviato in quel Paese per realizzare un’inchiesta sul giovane Stato africano in pieno cambiamento. Era il 1969. Il Ghana, primo tra i paesi dell’Africa nera, aveva conquistato l’indipendenza dall’Inghilterra nel 1957. In seguito, a causa di scontri armati tra le popolazioni della costa e quelle delle zone interne al Paese, ci sono state proteste e ribellioni che hanno portato a un colpo di stato. I militari hanno preso il potere, sospeso la Costituzione e i diritti civili hanno subito una limitazione. All’epoca del nostro viaggio il Ghana si avviava verso nuove elezioni democratiche. I due principali contendenti erano: Kwame Nkrumah, primo Presidente del Paese dall’Indipendenza in poi, e il Progress Party, il partito di opposizione guidato da Kofi Busia, il vecchio oppositore di Nkrumah. I due leader si scambiavano colpi a suon di comizi nelle città e nei villaggi di una Nazione in fermento.

In quel primo mese di viaggio avevamo già registrato molte immagini per la nostra inchiesta: avevamo descritto le strade, le case e le persone che abitavano ad Accra, la capitale del Paese, dove una folla multicolore, sempre in movimento, si riversava sui marciapiedi e le donne, con indosso degli abiti variopinti, avanzavano come delle modelle a causa di quei vasi o di quei piatti carichi di merce che portavano sulla testa, il classico esercizio delle modelle di casa nostra. Sulle strade, le automobili strombettanti andavano a rilento in un traffico caotico.

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donna con grossi pesi sulla testa

Avevamo navigato sulle acque del lago Volta, a bordo di uno sconquassato battello, in avanti con gli anni, che aveva lottato contro la furia delle acque attirate dalle rapide generate dalla diga di Akosombo, un’importante costruzione realizzata da una società italiana. Avevamo attraversato il Paese arrivando negli estremi territori del Nord, al confine con il Burkina Faso, visitando e filmando la vita di quelle donne e quegli uomini che vivevano di pastorizia e di agricoltura. Avevamo attraversato altipiani sconfinati coperti da cieli di rara bellezza, con delle nuvole bianche sparse su un azzurro intenso.

Quel giorno stavamo andando a Wioso, un piccolo centro abitato a pochi chilometri da Kumasi, la capitale dello storico Impero Ashanti, una Monarchia precoloniale dell'Africa occidentale, il suo territorio si estendeva dal Ghana centrale fino al Togo e alla Costa d’Avorio. Oggi l’Impero Ashanti è riconosciuto dalla Costituzione della Repubblica Democratica del Ghana e il suo popolo è governato dal Re Otumfuo Osei Tutu II. Il Sovrano porta sul capo la corona d’oro tramandata nei secoli e venerata dal popolo. Egli governa in autonomia e in accordo con il Presidente della Repubblica del Ghana.

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vecchia bandiera dell'Impero Ashanti: al centro è raffigurato il Trono Dorato simbolo della sovranità della tribù

Wioso cinquanta anni fa, l’epoca del mio viaggio in Africa, era poco più di un villaggio. Le abitazioni erano costruite con canne ricoperte di fango, i tetti erano composti sempre da canne e nel migliore dei casi da rami di palme. Intorno a queste, in piccoli recinti, erano coltivati degli ortaggi; qua e là verze, insalata, carote e pomodori uscivano rigogliosi da una terra generosa. Tra questi ortaggi razzolavano opulenti galline pronte per la cucina. Invitato da alcune donne sono entrato in queste capanne; nella fresca penombra ho scoperto un arredamento essenziale e ben pulito, in tutte si respirava un profumo che sapeva di buono. In una di queste abitazioni c’era una culla legata a un grosso ramo che faceva da trave, dentro un neonato stava dormendo coccolato da un alito di vento.

Proseguendo per un sentiero che costeggiava le capanne, sono arrivato in un grande piazzale in terra battuta, tutt’intorno a questo slargo c’era un certo fermento: guerrieri armati di lance e scudi che chiacchieravano, donne nei costumi tribali che li accompagnavano e gli immancabili bambini che correvano e giocavano tra le gambe degli adulti. In fondo al piazzale, in una zona sotto i rami di un albero di alto fusto, un mogano che proiettava a terra la sua fresca ombra, alcune di quelle donne stavano portando delle poltrone: c’era un trono importante con un’ampia spalliera, questo era al centro di un semicerchio formato dalle altre poltrone più piccole. Era evidente che stava per essere celebrata una cerimonia: l’akwasidae, una festa importante per il Regno Ashanti e l’organizzazione della corte reale era in movimento. Noi della Rai eravamo degli invitati speciali e tutti ci lasciavano la strada. Sentirmi così accudito e rispettato in un Regno che dominava una parte dell’Africa centro equatoriale mi dava un certo orgoglio.  

  A uno squillo di corno la piazza ha cominciato ad animarsi: i guerrieri che entravano nel perimetro scortavano i loro Capi tribù, questi erano abbigliati per l’occasione: avevano copricapo a forma di berretti di vari colori e tuniche, anch’esse variopinte. Tutte le persone importanti erano protette dal sole da grandi ombrelloni colorati, e ogni colore rappresentava la tribù di appartenenza. Gli uomini delle scorte erano vestiti con abiti da guerra, avevano il volto segnato secondo i rituali di battaglia ed erano armati di lancia o di fucile. I Capi tribù prendevano posto nelle poltrone a loro destinate, all’ombra del grande albero, lasciando libero il trono centrale

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Corteo che accompagna il capo tribù

 Come a un segno convenuto la piazza ha accelerato la sua animazione e tutti i presenti hanno volto lo sguardo verso un punto preciso; lì la folla che copriva la visuale ha cominciato ad allargarsi per lasciar passare un corteo. Da dove ero non riuscivo a capire cosa stesse accadendo fino a quando una sedia gestatoria, portata a spalle da alcuni guerrieri, si è fatta strada tre la gente: era un Capo tribù bianco! Sapevamo della sua presenza ma vederlo sul suo trono, portato a spalle dai guerrieri, era veramente un altro effetto. Sorrideva ed era magnanimo nei suoi gesti; la sua pelle bianca sul suo pancione era ancora più evidente perché era scoperto, al pari dei suoi colleghi e anzi, questo era segno di grande potere; inoltre aveva un mantello rosso e un berretto dello stesso colore, cosa che lo rendeva ancora più appariscente. Il grande ombrello che lo ricopriva dal sole era anch’esso di colore rosso. Il corteo ha attraversato il piazzale fino ad arrivare sotto il grande albero. Il Capo tribù bianco era un cacciatore inglese che aveva scelto di vivere in quei territori dove si sentiva amato e riverito. Gli uomini Ashanti sono poligami e quel Capo tribù, manco a dirlo, aveva uno stuolo di compagne nere e tutte giovani. Il grasso uomo bianco, una volta sceso dal trono portato a spalle, ha occupato il posto nella sedia che gli spettava.

Le poltrone all’ombra del grande mogano erano tutte piene, solo il trono centrale, quello più grande era ancora vuoto. Si aspettava il Re. Un gruppo di uomini armati è allora avanzato fino al centro della piazza. I guerrieri hanno cominciato a sparare in aria con dei fucili, accompagnando ogni colpo con urli di guerra, non sapremo mai se erano colpi a salve o dei proiettili veri. Era l’annuncio dell’arrivo del Monarca che è apparso tra due ali di folla, anch’essa urlante. Il Re si è recato verso il trono; era vestito con una tunica azzurra con dei ricami dorati, anche lui aveva un berretto dello stesso colore e anche questo era ornato di simboli d’oro, quel giorno non portava la corona; accanto a lui la Regina, abbigliata con una tunica gialla e azzurra e, come il Re, aveva diversi monili d’oro. Dietro di loro la numerosa corte. Il Re ha preso posto sul grande trono e la Regina si è seduta su di un basso sgabello accanto a lui

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giovani danzatrici

  Dopo l’arrivo del Monarca, i tamburi hanno cominciato a battere un ritmo frenetico: a quel punto dal fondo della piazza, dalla parte opposta al gruppo reale e alla sua corte, una schiera di donne ha cominciato ad avanzare muovendosi al ritmo di una musica tribale, ritmando dei movimenti sensuali in modo esplicito; i loro piedi nudi battevano la terra alzando una polvere finissima che dava a tutto l’insieme un che di arcaico. In un’altra parte della piazza, un altro gruppo di donne ha cominciato a cantare una nenia che lodava la vita e le imprese del popolo Ashanti.

Le danze sono andate avanti tutto il giorno e sarebbero andate avanti fino a sera. Abbiamo lasciato la festa nel pomeriggio per tornare nel nostro albergo perché non volevamo affrontare il viaggio di rientro verso il nostro albergo di notte. Non era consigliabile andare in giro dopo il tramonto, in molti paesi africani si rischiava di rimanere vittime di qualche agguato girando per le strade senza luce.