L’Indipendenza degli Stati Uniti d’America dal colonialismo inglese

di Nicola Bosco

Una rivoluzione energica che scavò il solco dell’uguaglianza, distese un regale mantello di umanità su tutti gli americani e conferì democratica dignità persino al braccio che vibra una picca o che pianta una caviglia, come riportato nel saggio “I figli della libertà: alle radici della democrazia americana” dello storico statunitense G. S. Wood. Può essere questo il senso riassunto della Rivoluzione americana avvenuta tra il 1765 e il 1783 e condotta sotto l’egida del futuro primo presidente degli Stati Uniti George Washington.

I motivi che spinsero le tredici colonie del Nord America a liberarsi dal giogo di Londra furono molteplici, come il divieto dei coloni di espandersi oltre i monti Appalachi nonostante questi si aspettassero di essere ricompensati a seguito delle gesta compiute contro i francesi nella guerra dei Sette anni, i dazi sullo zucchero, sul caffè e sul tè, la tassa sul bollo degli atti legislativi, la mancata rappresentanza nel Parlamento della madrepatria e infine le cruente repressioni dei soldati inglesi. Re Giorgio III, dal canto suo, si ostinava a non prestare ascolto ai coloni americani, continuando a credere che eventuali rivolte potessero essere facilmente soppresse nel sangue.

Sorvolando i singoli eventi storici che portarono ad una tanto gloriosa rivoluzione, vorrei concentrarmi sull’aspetto idealistico di quest’atto di così sicura indipendenza, e ragionare su quali siano state le radici che permisero a migliaia di uomini di ribellarsi ad un potere effettivamente oppressivo e costituire uno stato che, nel corso del tempo, sarebbe assurto a nuova superpotenza mondiale. Innanzitutto bisogna fare una riflessione sul fatto che gli statunitensi si ribellarono non perché si consideravano un popolo diverso da quello inglese, quindi oppresso per motivi etnico-razziali, bensì per un motivo di basica libertà, sia economica che sociale. Nella stessa Dichiarazione di indipendenza americana gli inglesi vengono definiti “fratelli britannici” i quali, tuttavia, hanno compiuto innumerevoli usurpazioni e offese non più tollerabili. Curioso notare come coloro che hanno redatto il testo della Dichiarazione di indipendenza abbiano sottolineato il loro ricorso alla magnanimità dell’innato senso di giustizia inglese (ignorato da Giorgio III), sul quale è fondata gran parte della Costituzione americana stessa, e sulla base del quale è sorta la Monarchia costituzionale inglese nel 1689 (basti pensare alla Magna Charta Libertatum del 1215 e l’Habeas Corpus del 1679, entrambi alla base del costituzionalismo e del garantismo moderno). Da ciò si può facilmente evincere che gli Stati Uniti furono fondati su quei principi etico-politici-filosofici che tanto stavano andando alla ribalta nel XVIII secolo, ovvero i principi dell’illuminismo.

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Dichiarazione d’indipendenza

Innanzitutto, sempre secondo la Dichiarazione d’indipendenza, lo Stato americano ha il diritto di esistere secondo legge di natura e di Dio (come credeva il filosofo Bodin, in questo caso i due aspetti possono considerarsi coincidenti), e proprio questa legge di natura, universale e comune a tutti quanti gli esseri umani, è preludio del concetto di autodeterminazione dei popoli che, nel corso del tempo, specialmente nel corso della Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti propugnarono.

In secondo luogo, questa nuova nazione d’oltreoceano si fonda sul principio di uguaglianza e quindi di libertà. Secondi i padri fondatori degli Stati Uniti, tutti gli uomini nascono con il diritto alla Vita, alla Libertà e alla Felicità. Quest’ultimo concetto fu realmente innovativo, in quando ribadiva il ruolo centrale dell’uomo nella nuova società di stampo illuminista, il quale può decidere se migliorarsi e scalare i gradini della società oppure, allo stesso modo, degradarsi, ma la cosa ancor più rivoluzionaria fu che questo concetto così avanguardistico sembrava essere aperto a tutti. 

Questi tre capisaldi della filosofia illuminista e della storia costituzionale americana, teoricamente, poiché riguardavano chiunque, concernevano anche quegli schiavi dei latifondi delle colonie meridionali che negli anni erano stati deportati dalle compagnie commerciali prima spagnole e poi inglesi, fattore che sin da subito generò una certa conflittualità tra le ex colonie del Nord, maggiormente industrializzate e che perciò non avevano bisogno del lavoro schiavistico, e le colonie del Sud, le quali invece proprio sul lavoro schiavistico (pensiamo agli sterminati campi di cotone) erano fondate.

Uno dei Padri fondatori americani, nonché terzo Presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, era un latifondista della Virginia che decisamente si ispirava alle idee illuministe di uguaglianza, le quali, tuttavia, stonavano con la possessione degli schiavi a cui lui stesso prendeva parte. Sarebbe stato troppo bello un mondo ove le idee di uguaglianza fossero totalmente applicate, eppure, bisognava scontrarsi con la dura realtà, proprio come Jefferson fece. Questi, difatti, prese delle dure posizioni contro la schiavitù, mal sopportando l’idea che alcune persone potessero avere un controllo assoluto su altre, ma dimensionò le sue idee in modo da mantenerle fondamentalmente legate al razzismo, in quanto temeva che dalla liberazione massiccia degli schiavi potessero scaturire delle vere e proprie guerre razziali sul suolo americano che sarebbero andate a minare le nasciture istituzioni. Jefferson, comunque, trattava molto bene i suoi schiavi, de facto come se fossero dei suoi pari. È nota, ad esempio, la sua lunghissima relazione con Sally Hemings, una schiava della sua piantagione con cui ebbe addirittura sei figli!

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Thomas Jefferson

Per quanto invece riguarda l’aspetto economico, non serve dire che gli Stati Uniti fecero propri gli ideali del liberalismo di Adam Smith, basati sul libero scambio delle merci, sull’utile individuale orientante quello comunitario, sulla “mano invisibile” regolatrice dei prezzi, e sulla lotta ad ogni forma di protezionismo. Proprio quest’ultimo punto porterà ulteriori conflitti con le ex colonie meridionali le quali, avendo come maggiore industria quella manifatturiera e volendola proteggere dalla concorrenza straniera, pretendevano l’imposizione di dazi doganali sui prodotti manifatturieri, cosa che fu sempre osteggiata, invece, dalle ex colonie settentrionali.

Insomma, possiamo notare come da una tanto gloriosa rivoluzione che nell’illuminismo e nel progresso affondava le radici, stanno i germogli della futura Guerra civile americana, che vide due schieramenti completamente opposti fronteggiarsi, ovvero quello dei sudisti e dei nordisti. 

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Abraham Lincoln

Ma da questo conflitto, grazie alla straordinaria figura di Abraham Lincoln, gli Stati Uniti ne usciranno ancor più forti di prima e potranno successivamente avviare, grazie all’intervento militare nella Prima guerra mondiale, la loro definitiva espansione a livello planetario, per via della quale ancora oggi sentiamo ridondare in molti paesi quegli ideali che sono stati alla base della Rivoluzione americana, secondo un concetto di “esportazione della democrazia” di certo molto meno glorioso della suddetta Rivoluzione.