LUDWIG VAN BEETHOVEN: IL TITANO DELLA MUSICA (1770-1827)

di Gianluigi Chiaserotti

Cade il 16 dicembre, il termine dell’anno che ha segnato il duecentocinquantesimo della nascita del grande musicista e compositore, Ludwig Van Beethoven, il c.d. “Titano” della musica.

Un uomo di origini semplici, ma con grande sete di sapere e vero ed autentico cultore di raffinate letture.

Il Nostro, pur vicino temporalmente ad Haydn ed a Mozart, se ne distingue, e di gran lunga.

Assegnò alla musica una collocazione privilegiata all’interno della propria visione del mondo.

La sua è un’arte carica di idee e di idealità, di voglia di combattere per un progetto, per un avvenire migliore, per curare il dolore della vita.

La musica di Beethoven è carica di energia, propone soluzioni formali inedite, e fu sempre dialetticamente in contrasto fra le esigenze della costruzione razionale settecentesca e le strabordanti passioni umane.

Nasce a Bonn, nel 1770.

Non fu un vero e proprio fanciullo prodigio, ma presto dimostrò originali attitudini musicali. Si trasferì quindi a Vienna, ma qui, differentemente da Mozart, Beethoven non ebbe rapporti troppo distesi con Haydn, di cui fu allievo, ma, senza una vera ed autentica rottura, preferì completare la sua formazione musicale con il contrappuntista Albrechtsberger e con l’operista italiano Salieri.

A Vienna, Beethoven si distinse subito come esecutore ed improvvisatore pianistico, e rimase nella capitale fino alla morte, avvenuta nel 1827.

famelici_ludwig_van_beethoven_-cibo_e_cultura-1140x555jpg

Dal 1795 si manifestano i primi sintomi della malattia, che lo renderanno completamente sordo nell’ultimo decennio di vita.

La sordità influì pesantemente sul carattere già di per sé scontroso di Beethoven, ed acuirà la sua misantropia. L’handicap non influì comunque profondamente sulla sua produzione e sulla sua fede nei valori positivi della vita, flagellata da molti lutti e da molte delusioni, e pur tuttavia animata costantemente da una fortissima tensione morale.

Certamente lo spirito beethoveniano affondava le proprie radici nell’Illuminismo, ma, dopo aver accolto, e con entusiasmo, gli inquieti fermenti preromantici (“Sturm und Drang”), dimostrandosi sensibile all’idealismo tedesco ed alla ideologia del credo libertario e democratico nato con la Rivoluzione Francese.

Oltre che per l’ampiezza degli interessi culturali, il Nostro si distinse sicuramente dai musicisti che lo avevano preceduto anche per aver e sempre coraggiosamente rivendicato la posizione di libero artista, autonomo nelle proprie scelte artistiche ed esistenziali.

Tutte codeste caratteristiche contribuirono sicuramente, ed in maniera del tutto determinante ad un’interpretazione romantica dell’opera di Beethoven. Al riguardo è da precisare che egli si distinse per rimanere sempre un musicista di formazione classica e che, nella sua arte, come nella visione morale, vengono meno alcune delle componenti essenziali del Romanticismo (ad esempio l’autobiografismo artistico esasperato).

Le prime composizioni significative appartengono circa all’ultima parte del sec. XVIII, concepite secondo i modelli di Mozart e Haydn ma con una spiccata tendenza ad accentuare il contrasto, tipico della forma sonata, tra il primo tempo (ritmico e incisivo) e il secondo (melodico e intimistico).

La progressiva drammatizzazione di questo contrasto divenne elemento principale nella parte centrale della produzione musicale beethoveniana, che si colloca nel primo quindicennio del sec. XIX.

I tempi veloci delle sue composizioni si impongono per quella potenza titanica della costruzione, mentre gli adagi si distinguono per il loro poetico e contenuto lirismo.

Le nuove dimensioni dei rapporti armonici e formidabili invenzioni timbriche determinarono inoltre radicali innovazioni della tradizione struttura della forma sonata, mentre il completo superamento dei modelli galanti si espresse anche con l’abbandono del minuetto, sostituto con uno scherzo, robusto e ritmicamente incisivo.

Negli ultimi anni Ludwig sfaldò completamente la forma sonata con il recupero di elementi polifonici barocchi e rinascimentali funzionali alle sue esigenze espressive.

Si verificò allora un ritorno all’antico, al recupero dei procedimenti polifonici rinascimentali e barocchi, mentre contemporaneamente si creavano strutture formali e soluzioni stilistiche di tale sconvolgente novità di concezione da poter essere compiutamente assimilate e riprese solo nell’esperienza critica e compositiva del sec. XX.

Certamente immensa è l’opera di Ludwig Van Beethoven, ma mi soffermo, brevemente e senza dubbio, sull’opera sinfonica, tenendo presente che nei finali della musica da camera entrano sempre con maggiore frequenza episodi fugati, intesi come inevitabile sbocco di una tensione spasmodica accumulata nei movimenti precedenti, catarsi finale e liberatoria, in una dimensione musicale del tutto nuova, rarefatta ed immateriale.

E ciò anche nelle nove Sinfonie la linea di sviluppo appare altrettanto evidente.

Le prime due non portano sostanziali novità rispetto alla contemporanea musica da camera, ma una vera ed autentica rottura con tutto il passato avviene con la Terza Sinfonia, detta l’”Eroica” (op. 55) e dedicata inizialmente a Napoleone.

In codesta sinfonia i tradizionali rapporti armonici sono dilatati al massimo, un’intensa marcia funebre sostituisce l’adagio ed un formidabile scherzo conduce ad un finale articolato in forma di variazioni e dotato di trainante vigore.

Ma è sicuramente con la Quinta sinfonia (op. 67) che si assiste, ed ancora una volta, all’esplosione dell’”επος” beethoveniano. Una semplice, ma straordinariamente incisiva cellula ritmica sostiene l’intero arco formale della composizione, evocando titanici contrasti fra elementi primordiali, che si concludono in gioiosa apoteosi, quasi manifestazione dell’inevitabile prevalere, nella visione idealistica ed eroica del Nostro, dei valori positivi sulle disordinate componenti dell’irrazionale.

La Sesta o “Pastorale” (op. 68) è la celebrazione panteistica della presenza divina nella natura, e ciò, facendo un salto di qualche anno, ci vedrei la visione, appunto pastorale e bucolica, del Pascoli.

Ma sicuramente il culmine dell’opera sinfonica di Beethoven è la Nona Sinfonia (op. 125). Dopo la tempestosa drammaticità del primo tempo, l’irruente vitalità dello scherzo ed il caldo lirismo dell’adagio ed alla dilatatissima orchestra si aggiungono nel finale quattro voci soliste ed il coro per intonare l’”Inno alla Gioia” di Schiller, appassionato appello alla fratellanza universale e non casualmente scelto quale inno dell’Unione Europea.

Europa che attualmente dovrebbe riscoprire le proprie tradizioni culturali, cristiane ed anche la forza che gli diede quel grande movimento che fu il Romanticismo.

L’unica opera lirica del Nostro, “Fidelio”, più volte rimaneggiata, precorritrice dell’opera nazionale tedesca, è un inno all’amore redentore ed all’inevitabile trionfo del bene sulle forze del male.