DALLA STAMPA LIBERALE ALLA STAMPA DI REGIME (parte seconda b), IL DELITTO MATTEOTTI

 di Michele D'Ambrosio

Prima di addentrarsi nella questione del delitto, è necessario introdurre brevemente alle cause che lo causarono.

Le cause di questo delitto, infatti, sono da ricercarsi nella volontà di Mussolini di voler ridurre sempre più la democrazia nel Regno. Il 18 novembre 1923, infatti, il Governo Mussolini varò una nuova legge elettorale[1]. La riforma elettorale avrebbe dovuto definitivamente archiviare il sistema proporzionale in favore di un sistema prettamente maggioritario. Con questa nuova legge sarebbe bastato il 35% dei voti validi per ottenere i due terzi dei seggi della Camera dei Deputati. La riforma elettorale venne sostenuta, tra gli altri, anche da Giolitti, Salandra e Orlando; gli unici che si opposero furono i comunisti, i socialisti, i popolari e qualche singolo Deputato come Nitti, Cocco Ortu ed Amendola[2]. Con le elezioni del 6 aprile 1924, la nuova legge elettorale diede i frutti sperati a Mussolini conferendogli i due terzi dei seggi della Camera dei Deputati[3]

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 On. Giacomo Matteotti


In seguito a questi risultati, l’On. Giacomo Matteotti, esponente del Partito Socialista Unitario, pronunciò un severo discorso alla Camera in cui sosteneva la presenza di evidenti illegalità nello svolgimento delle consultazioni appena tenutesi. Questo intervento provocò come conseguenza, oltre che l’ira di Mussolini, l’omicidio che vide come vittima proprio il Deputato Matteotti; era il 10 giugno di quello stesso anno. Il responso che uscì dalle urne dell’aprile precedente, alla notizia di questo assassinio si capovolse immediatamente e si cominciarono a chiedere le dimissioni immediate del Governo, lo scioglimento della Milizia e nuove elezioni generali[4]. Tutto questo non sarebbe stato facile da raggiungere con la Camera dei Deputati fortemente in mano a Mussolini, l’unico organo che avrebbe potuto aprire la crisi di governo, causandone la caduta, rimaneva il Senato, ma solo una ventina di Senatori votarono contro il Governo[5]. Il Governo Mussolini, nonostante tutto, era salvo. Amendola fece presente al Sovrano i pericoli a cui stava andando incontro la democrazia in mano al futuro Duce, ma, nonostante questo, Vittorio Emanuele III non volle in alcun modo violare quanto previsto dallo Statuto: il Governo aveva la maggioranza e la Camera non poteva essere sciolta a quelle condizioni[6]. Con il discorso alla Camera del 3 gennaio 1925[7], Benito Mussolini, mise ufficialmente fine al regime parlamentare italiano, l’ultima possibilità che le forze dell’opposizione avevano per evitare il totalitarismo venne resa vana dalla secessione aventiniana. Fu proprio durante quel discorso che il Capo del Governo chiese se qualcuno avrebbe voluto avvalersi, alla luce dei fatti, dell’articolo 47 dello Statuto Albertino grazie al quale si sarebbero potuti mettere in stato d’accusa i Ministri del Re, ma gli unici che se ne sarebbero avvalsi, in quel momento, erano fuori dal Parlamento[8] (anche in questo caso, però, difficilmente si sarebbe potuti procedere a tale scopo essendo necessario un voto di maggioranza). Il 3 gennaio 1925 la Monarchia parlamentare lasciava ufficialmente il posto a quella che Mussolini avrebbe definito diarchia[9]. Con questa diarchia, tra le altre cose, il Duce cercò di creare nuove strutture statali parallele a quelle già esistenti nel Regno. L’Italia di Mussolini, con lui a Capo, si sarebbe dotata di organismi e strutture che avrebbero favorito la sua centralità; al Consiglio dei Ministri, all’Esercito, ai Corazzieri e alla Marcia Reale che facevano riferimento al Sovrano, Mussolini contrappose il Gran Consiglio, la Milizia, i Moschettieri e l’Inno Giovinezza, al saluto militare e alle insegne regie, contrappose il saluto romano e le insegne fasciste, al Palazzo del Quirinale, da dove si affacciava la Maestà del Re, Mussolini contrappose Palazzo Venezia e il suo balcone per adunare il pubblico[10]. Questo assetto non può non far pensare al tentativo di costituire uno Stato nello Stato.



[1] Legge 18 novembre 1923 n. 2444, meglio conosciuta come Legge Acerbo, nome del parlamentare che la redasse.

[2] Alberto Consiglio, op. cit., p. 168.

[3] Ibidem.

[4] Ivi, p. 169.

[5] Alberto Consiglio, op. cit., p. 169.

[6] Luciano Regolo, op. cit., p.139.

[7] In quell’occasione Benito Mussolini si assunse la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto avvenuto nella vicenda Matteotti.

[8] Luciano Regolo, op. cit., p.140.

[9] Ibidem.

[10] Luciano Regolo, op. cit., p.140.