di Pietro Fontana Da diversi mesi ormai Hong Kong, zona amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese, è attraversata da forti proteste, scontri e manifestazioni. I disordini sono partiti nel marzo del 2019, quando il governo centrale di Pechino ha annunciato di voler rendere effettivo il c.d. “Extradition Bill”, legge che avrebbe permesso l’estradizione, anche per motivi politici, di cittadini di Hong Kong verso i tribunali della Cina continentale, ritenuti questi, con ragione, troppo esposti al controllo politico del Partito Comunista Cinese. I cittadini sono quindi scesi in piazza a farsi valere per la loro libertà, la tutela dei propri diritti civili e la propria indipendenza, spesso anche con bandiere britanniche e cori inneggianti la Regina, Elisabetta II. Ma perchè inneggiare al Sovrano di una remotissima isoletta europea nel pieno delle proprie battaglie civili? È presto detto, per ciò che questa rappresenta! Hong Kong fu una “british crown colony” dalla fine della prima guerra dell’oppio, nel 1842, quando l’Imperatore Celeste Daoguang della Dinastia Qing la cedette “in perpetuo” alla Regina Vittoria, fino al 1997. bandiera coloniale britannica di Hong Kong Durante questi 156 anni l’isola visse, bene o male, estraniata dal resto della storia continentale ed ebbe così un personale e costante sviluppo sociale e giuridico basato sull’occidentale “modello Westminster” e sulle stesse leggi britanniche. Non senza dimenticare poi il così detto “piano Young” del 1946, con cui l’omonimo Governatore ristabilì i princìpi di libertà e democratica partecipazione ad Hong Kong dopo la restaurazione della giurisdizione del Governo di Sua Maestà Britannica sull’isola, alla fine dell’occupazione giapponese della Seconda Guerra Mondiale. Questa riforma tardò molto ad arrivare a causa dell’emergere sempre più teso dell’aumento delle tensioni dovute alla Guerra Fredda; ma proprio durante questo difficile periodo, a livello internazionale, Hong Kong si confermò patria di libertà democratiche in una Cina che da queste si allontanava sempre più accogliendo, come la vicina Taiwan, un gran numero di oppositori del regime cinese, di rifugiati politici. Dopodichè questi stessi princìpi di Young trovarono posto nell’assetto giuridico dell’isola venendo inseriti anche nell’ “Hong Kong Basic Law”, la costituzione che è ancora oggi in vigore. Quando nel 1997, infatti, per effetto delle trattative tra Pechino e Lady Margaret Thatcher, Hong Kong tornò alla Cina, ci si accordò sul fatto che la legislazione portata avanti dai britannici rimanesse in vigore ancora per lungo tempo, invece che miscelarsi con le rigide leggi cinesi. 1997, la Cerimonia del passaggio della Sovranità di Hong Kong A questa teoria il leader cinese Deng Xiaoping diede poi il nome di 国两制 - Yīguóliǎngzhì , in inglese “One Country, Two Systems” (Un Paese, due Sistemi), a dare peso alla forte autonomia sovrana di Hong Kong rispetto a Pechino. Ma la popolazione mostra con evidenza il rimpianto del momento in cui l’ultimo Governatore di Sua Maestà Lord Chris Patten lasciava per sempre l’isola a bordo dell’HMS “Britannia”, insieme a Sua Altezza Reale il Principe del Galles, Carlo, giunto sino ad Hong Kong per leggere davanti alla popolazione il discorso ufficiale di commiato di sua madre la Regina, del quale un estratto: I manifestanti di questi mesi protestano infatti proprio per la presunta violazione del principio fondamentale dell’autonomia sovrana e delle salvaguardie liberali, eredità del sistema britannico già peraltro drammaticamente erose negli anni. Non è infatti la prima volta che i cittadini di Hong Kong si fanno sentire scendendo in piazza, ma solo l’ultima di innumerevoli momenti di protesta, ancora oggi forti di bandiere britanniche e di immagini di Sua Maestà la Regina. la bandiera coloniale britannica issata dai manifestanti al Parlamento di Hong Kong durante l'occupazione Questa volta vi è stato anche un buon successo iniziale con il risultato, ottenuto anche grazie alla grande attenzione internazionale sul caso di Hong Kong, della sospensione dell’atto per l’estradizione da parte del Governatore Carrie Lam. Ma, forte della disattenzione causata dalla pandemia del nuovo coronavirus, Pechino è tornata nuovamente alla carica questo maggio, vietando anche le consuete manifestazioni in ricordo dei fatti di piazza Tienanmen del 1989, che gli abitanti dell’isola hanno comunque celebrato con gran sprezzo del pericolo. Quest’ultimo è un elemento di grande importanza che li ha sempre spinti, fin’ora, a non fermarsi, continuando a manifestare per far valere i propri diritti e le proprie libertà. A loro ha fatto poi ultimamente da spalla il Primo Ministro Boris Johnson, dimostrando la solidarietà del Governo di Sua Maestà la Regina alle proteste con l’estensione del passaporto britannico, chiesto a gran voce dai manifestanti, invitati, qualora lo desiderassero, anche ad espatriare nel Regno, dove sarebbero senz’altro fraternamente accolti.